lunedì 28 gennaio 2013

LO YOGURT LABAN لبن لبنه جميد



Yogurt in fermentazione nelle yogurtiere moderne ed anche nella pentola ormai sorpassata. Nel piattino “labaneh”(femminile) spalmata sulle fette con miele e con olive.

Oggi parliamo di Yogurt, sembra banale o semplice, lo si va a prendere al supermercato ed è fatta, lo si mangia al mattino a digiuno per la peristalsi intestinale come fanno le varie Marcuzzi… considerandolo un semplice colagogo.

No carissimi! lo yogurt merita rispetto e non può essere considerato una purga, il nostro yogurt (noi palestinesi lo rivendichiamo come alimento primario insieme a tutto il Medio Oriente) occupa il primo posto in cucina e si consuma al mattino ed a pranzo e cena come del resto il pane, lo mangiamo quotidianamente sia con i salati che con i dolci. Mi meraviglia il fatto che l’Europa non ha copiato i vari usi del yogurt come ha fatto con tutta la cucina mediorientale (considerata la prima cucina riconosciuta e scritta nei libri), ce lo ha lasciato come il solo tipico alimento completo, sano e versatile in cucine e nell'uso per decine e decine di ricette.
Essendo l’alimento più antico di cui l’uomo si e’ cibato nel corso della sua storia millenaria riferendosi ad esso come “latte fermentato o acido”, certamente che nella storia degli arabi lo yogurt è il principe degli alimenti (basta mangiare un vasetto di yogurt con un pezzo di pane) tenendo conto della privilegiata cucina araba e mediorientale, nella quale rientra anche l’Iran e la Turchia. 

Nel deserto gli arabi hanno sempre usato più il latte fermentato che il latte stesso, perché il caldo non permetteva di conservarlo come tale se non per alcune ore dalla mungitura, perciò subito dopo il latte, arriva lo yogurt in tutte le sue caratteristiche che ancora oggi occupa il più rispettabile posto In Palestina Libano e Siria si chiama LABAN in Egitto si chiama ZABADI in Iran MAST in Turchia YOGURT e per gli Armeni MADZOON.

Vi do un aneddoto tratto dalle avventure di GOHA, noi lo chiamiamo JUHA (il burlone arabo/saggio del villaggio): un giorno un suo amico lo trova accosciato sulla riva di un lago, munito di un cucchiaio e di una scodella di yogurt. “che stai facendo?”, gli ha chiesto. Juha versa una cucchiaiata di denso yogurt nell’ acqua e risponde: “Sto trasformando il lago in yogurt”  Ecco quanto sia importante per noi. Lo yogurt si ottiene facendo fermentare latte intero, parzialmente scremato o magro, e può’ essere più  o meno fluido: gli speciali batteri presenti nello yogurt gli conferiscono il sapore e la consistenza e per essere tale, deve essere “vivo”, cioè  contenere batteri vivi ed attivi.

Mi ricordo che mia madre lo faceva sempre specialmente se aveva bisogno di una grande quantità. Lo faceva la sera con l’aggiunta di una parte di yogurt avanzato dal giorno prima e tenendolo al caldo coperto con una coperta di lana e lontano dalle correnti d’aria fino al giorno dopo.

Se usava il latte di mucca intero veniva fuori uno yogurt delizioso e grasso quanto basta per assaporarlo come fosse burro da mangiare con il miele o la melassa di uva (dibes), lo si metteva per condire le pietanze (cetrioli pomodori insalate ecc ecc), lo cucinava con la carne di montone, lo metteva liquido per cucinare le zucchine ripiene o per cucinare il shushbarak (simili ai tortellini con carne), questa deliziosa crema di yogurt sostituiva la maionese o la panna molto usate in Italia (noooo e assolutamente no) con un danno alle arterie ed al colesterolo ecc ecc . Ricordo che in Palestina si iniziava a parlare di colesterolo e di problemi cardiaci soltanto da un po’ di anni. L’arrivo dell’occupazione militare portò un cambiamento radicale nella società palestinese che ha comportato l’arrivo delle malattie identificate con “ il progresso occidentale” arriva il Mc Donald e le bibite e tutti i cibi del mondo globalizzato che ha sconvolto anche la Palestina, però bisogna tenere conto anche, che l’occupazione ha tolto alla Palestina la volontà di scindere e di scegliere, hanno distrutto tutto ciò che si chiamava tradizione, tutto ciò che si chiama società rurale ed hanno piazzato dei prodotti simili ma artefatti con una presentazione migliore ed ecco la corsa a questi prodotti, voi sapete che il nuovo attira e la gente delle città specialmente Gerusalemme che non produce niente, ha accolto con piacere queste novità ignorando tutto quello che sta dietro a queste innovazioni. Le donne per prime hanno iniziato a fare il cambiamento e per tornare al yogurt, non l’hanno più fatto in casa ed hanno iniziato a consumare quello dolce e quello meno acido in mille versioni diverse, così fu per tutti gli altri prodotti scesi nel mercato di Gerusalemme prima ed in tutti i mercati della Palestina. Non c’è più latte più mucche (poche) più polli, più verdure del contadino ma tanti muri e tanti posti di blocco e tanti permessi per entrare e uscire che hanno scoraggiate le persone ed impedito la circolazione dei pochi prodotti rimasti considerandoli (da parte dell’esercito) fonte di diffusione di malattie e contagi aprendo al mercato libero israeliano, così si sono impossessati della nostra vita mettendoci in condizione di non poter scegliere e di non poter lottare ne boicottare. Mio padre ama lo yogurt israeliano consuma due vasetti al giorno ed una bottiglia di pompelmo israeliano al giorni (spesso quando sono là gli aggiungo sopra dell’acqua) anche mia madre si è affezionata ed adeguata come quasi tutte le famiglie in Palestina e in special modo a Gerusalemme.

Se per un po’ si considerasse il suo effetto benefico per lo stomaco (per anziani e per bambini) tenendo conto che non da intolleranze a differenza del latte di sicuro lo si somministra con più facilità, è sufficiente pensare che è un’antibiotico naturale, e ricco di fermenti vivi ed attivi, utili per riequilibrare la flora batterica intestinale e per aumentare le difese immunitarie. Mi ricordo i miei giorni antichi da piccola, mia madre ci dava lo yogurt (comperato dalla nostra contadina di fiducia) quando eravamo malati e lo accompagnava al piatto di riso bollito .

Inoltre ci metteva una spalmata di yogurt in caso di ustioni da sole e ustioni domestici, un sorso di yogurt come gargarismo per il mal di gola, una frizione con yogurt sul cuoio capelluto ed sul corpo in caso di prurito ed infine lo usiamo come una maschera di bellezza contro i brufoli e la pelle grassa, usi che troverete oggi su internet ma che gli arabi hanno usato per millenni (forse esagero ma è così).

Considerando la mia memoria, sono passati già i miei primi sessant’ anni e mi trovo in diaspora con nuovo passaporto e nuova vita, ma con una tenace volontà di continuare la mia tradizione nell’ uso tipico e sano del cibo e nello specifico lo yogurt che faccio tutti i giorni per il grande consumo che ho in cucina sia per i dolci che per i piatti quotidiani di cibo, spesso compero dei vasetti per la comodità . Non compero lo yogurt dolce perché di sicuro è meno sano perché non ha i fermenti vivi sufficienti (uccisi dall’ aggiunta della frutta e portato a ebollizione per la sterilizzazione).

Grazie alla sua caratteristica di intenerire la carne, lo yogurt è molto usato per marinare il pollo e l’agnello, Lo yogurt è un alimento completo, ricco di calcio e di proteine, ma a differenza del latte, non da intolleranze, lo yogurt è particolarmente digeribile e assimilabile  anche dai bambini, nella cui dieta non dovrebbe mai mancare. Se intero e naturale, esso è particolarmente ricco di fermenti vivi, può andare bene anche quello scremato e aggiungendo un po’ di latte in polvere si ottiene un yogurt più cremoso. Lo yogurt si può preparare anche con il latte pecorino (quello greco), quello caprino è più piccante ma entrambi vengono usati in cucina come quello ovino.
Lo yogurt si può consumare come bevanda dissetante e rinfrescante con l’aggiunta dell’erba menta e sale per reintegrare i sali minerali persi nelle calde giornate estive. Condensato, sottoposto ad una speciale lavorazione ed essiccato جميد)) l’alimento base per accompagnare il MANSAF tipico piatto arabo. Se lo facciamo leggermente colare attraverso un telo, assume una consistenza cremosa solida (labaneh) da poterlo servire spalmato sul pane a colazione con un po’ di miele oppure con fettine di pomodori e olive, modo tipico dei paesi del Medio Oriente. Lo si può anche conservare rotolandolo come palline e sistemandolo in vasetti di vetro sterilizzati e oliati e coperti con olio d’oliva, lo yogurt così preparato si conserva in frigo per un mese.

Dobbiamo combattere con tutte le nostre forze per la salvaguardia dei nostri usi e consumi nonostante l’aggressione e la volontà dell’occupante che lentamente e per tanti anni ha voluto distruggere per fare suo diversi piatti tipici con il PROFITTO nel sostituire i prodotti palestinesi con quelli israeliani e spesso modificandoli per farli suoi.

lunedì 21 gennaio 2013

Khubz خبز


Oggi prepariamo il pane palestinese (arabo) khubz (خبز) con la pasta pane che usiamo per svariati usi . 
Il pane è considerato l’alimento primario che ogni popolo consuma a seconda delle sue necessità, il suo prezzo è calmierato e basso così da essere a portata di tutte le tasche.
In Palestina non abbiamo tanti tipi o formati di pane e quello più richiesto è quello che qui in occidente chiamano “pitta”, mia nonna chiamava “bita” quello che tirava a mano e bucherellava con le dita perché rimanga piatto, la sua forma è ovale e non si apre alla cottura, lo faceva con la pasta che avanzava da quella per la  “safiha” o per “akras bi sabanekh”.
Un altro tipo di pane è quello sottilissimo “shrak” molto grande di diametro e si usa principalmente quando si ha da fare il “mansaf” famoso riso con pezzi di carne di agnello cotti nello yogurt (lo faremo un’altra volta), l’avrete forse visto su un vassoio rotondo grande foderato con questo pane sottile e sopra il riso e la carne ed il liquido.
Ogni famiglia consuma + di un kilo di pane al giorno circa perché ci avevano insegnato fin da piccoli che non si mangia niente senza pane, anche le famiglie ricche consumano tanto pane magari non lo mangiano con “labaneh” (crema di yogurt ricavata dallo yogurt scolato in un telo), o non con za’tar u zeit o con un pomodoro o con Halawa (dolce fatto con miele e tahina) o con dibes u tahine (melassa fatta da datteri bollitura fino a ridursi in melassa e così pure l’uva), ecco i ricchi allora potevano permettersi le salsicce la carne secca oppure il paté d’oca ecc ecc, noi in famiglia come tante altre famiglie come noi non potevamo permetterci tutto questo, allora mia madre friggeva le patate e ci riempiva il pane insieme a qualche polpetta . Ricordo che all’ epoca invidiavo gli altri ma ora a distanza di tanti anni mi sento fiera del cibo dei poveri e continuo a consumarlo anche oggi e prepararlo per i miei famigliari ed anche per  gli amici. 

Allora il mio pane arabo della diaspora è quello pitta e lo faccio in casa tirando la solita pasta alla misura che desidero e cioè di 20/25 cm, a seconda della padella che ho, scaldo molto bene la padella antiaderente piatta e appoggio la pasta tirata e dopo 2/3 minuti comincia a gonfiarsi e prendere colore, la giro con delicatezza ed altri 2/3 minuti è pronta e così via fino alla fine dei panetti che avevo già preparato e lievitato. Con questo pane accontento tutti i palati e ognuno mette dentro quel che vuole, si possono fare le tartine, i panini di kebab o di sheworma o anche un semplice formaggio e prosciutto.

Quando avanzo pane e si secca (non succede mai) lo rompo a pezzi e lo metto nella zuppa di lenticchie oppure lo copro di verdure fresche (pomodori cetrioli cipolla prezzemolo rucola limone e olio d’oliva = in questo caso si chiamerebbe fattoush.   

Una pitta tagliata in quattro e condito con:
1- labaneh con olio menta.
2- con za’tar e olio
3- con tahina e melassa di uva.
4- con halawah  e BUON APPETITO.

NB. In questa relazione non abbiamo menzionato il pane ugualmente molto importante che si mangia in quasi tutte le case in campagna e nei villaggi e difficilmente si trova a Gerusalemme perché è cucinato al forno di TABOON (طابون )costruito con terra refrattaria e fieno, viene dislocato lontano dalle case per il fumo e chiuso dentro un ambiente molto piccolo(tipo pollaio) dove la donna in quanto lei che lo accende (ci vogliono due giorni per scaldarlo alla temp. giusta) quando raggiunge la temperatura giusta inforna i pani ad uno ad uno (sopra a dei sassi per dare la forma irregolare), essendo poi messo al riparo, la donna non viene vista dall’esterno anche se scopre le gambe e le braccia per il troppo caldo. Essendo molto impegnativo, generalmente lo si fa per uso famigliare e anche per gli ospiti, qualche volta potrebbe capitare che le contadine regalino qualche pane a conoscenti perché sanno che viene gradito .      

lunedì 14 gennaio 2013

كعك بعجوة Ka’ek bi ‘ajweh


Oggi e per il secondo giorno presentiamo il Ka’ek bi ‘ajweh 

Questa ricetta la facciamo di solito a Pasqua per i cristiani e a Ramadan per i musulmani ma da un po’ di tempo non ci sono quasi più ricette particolari per ogni occasione (grazie a facebook che non lascia spazio per le occasioni speciali…) così e non so se va bene ci troviamo travolti da un mare di informazioni su cibo ed altro che ci legano alla sedia per curiosare e guardare il mondo attraverso uno schermo, la stessa cosa dicasi delle stagioni e la frutta e verdura legate ad esse: troviamo zucchine pomodori fagiolini ecc ecc . tutto l’anno e non c’importa più da dove viene, potrebbe venire dall’ estero dove non ci sono leggi in merito ai concimi o in merito agli antiparassitari ecc. e questo spesso non ci procura nemmeno la voglia di valutare se è meglio consumare i vegetali di stagione con sicurezza alimentare o buttarci per avere tutte le voglie e andare contro la natura e la stagione del luogo in cui viviamo.


La stessa cosa accade per i dolci, troviamo panettoni anche fuori dalle feste ed io li ho trovati nel punto più basso del mondo “a Jerico” con costi abbordabili, a pensare che ero partita con due pandori per Gerusalemme e lì oltre a Jerico li ho trovati a 10 euro l’uno.

Quando arrivavo a casa nel passato, mia madre era fiera di mangiare una cosa italiana o di vestire un abbigliamento di marca italiana ma quando girando per le città ho visto un mercato pieno di prodotti cinesi e turchi spesso a minor costo, sono rimasta a bocca aperta ma come posso convincere mia madre che anche in Italia la società sta cambiando e chi vuole vestiti italiani deve spendere un bel po’ di più e per chi viaggia molto come me non può affrontare un budget alto.

Torniamo al Ka’ek che è meglio ed io l’ho fatto a Natale infrangendo i miei principe rispetto alla tradizione senza escludere i panettoni ed i pandori che adoro.

Mi sono messa a snocciolare i datteri che avevo portato con me da Jerico. Il dattero è l’ingrediente principale di questo dolce e quando questo dattero arriva dalle palme di mio fratello a Jerico acquisisce un sapore ancora più speciale. Non posso non pensare ai palmeti sradicati o sequestrati o rubati dai coloni e distrutti dall’ esercito oltre alla distruzione dei canali d’acqua o la deviazione di essi per fare spazio alle case e piantagioni israeliane. La palma inizia a dare frutti dopo 10 anni e va irrigata col metodo a goccia continua. Mi piange il cuore quando vedo seccare alberi centenari per la mancanza d’acqua o per il perfido dispetto per possedere le cose d’altri.

Il dattero è il più completo come alimento, ricco di minerali e vitamine e carboidrati e con un pezzo di pane può sostituire un pasto. Con i datteri si possono fare tante altre ricette es. marmellata, melassa, torte con aggiunta di noci pistacchi e mandorle ecc ecc.

Noi oggi facciamo le ciambelle ka’ek con semolino datteri e burro lievito di birra ed una piccola presina di MAHLAB (un piccolo nocciolo di un tipo particolare di ciliegio della Siria).
Amalgamo tutti gli ingredienti e li lascio a riposare per qualche ora e mi giro a lavorare i datteri con le mani per ridurli a una pasta liscia, aggiungo l’acqua di rose cannella e semi di anice o anche polvere, faccio dei rotoli sottili e li lascio finché la pasta sarà pronta.
 
Lavoro di nuovo il semolino ed aggiungo un po’ di acqua per ottenere una pasta friabile e non dura, prendo piccole quantità e la lavoro con le mani, la stendo come vedete nella foto e metto dentro il rotolo di ‘ajweh e chiude con delicatezza e con l’aiuto di una pinza dentata speciale faccio sopra dei pizzichi giusto per avere una faccia bella, (a proposito del pensiero di mia madre) li metto allineati nel vassoio grande (a proposito ho un forno extra large, ma mai come quello nero del forno di Gerusalemme) e inforno a 200 gradi per quasi 10 minuti.

Nota bene che dentro il dolce non mettiamo né zucchero né uova. 
         
Si possono mangiare con una spolveratina di zucchero al velo accompagnato da una tazza di tè o di caffe rigorosamente arabo


Buon Appetito.

martedì 8 gennaio 2013

Sfiha صفيحة


Oggi 7/1/2013 penso di cucinare “sfiha” lahm u a’jin che significa pizzetta fatta con pasta pane stesa e sottile come una pagina e da qui deriva il nome, mentre lahm u a’jin indica il ripieno che si mette sopra di carne pomodoro cipolla olio pepe sale prezzemolo e anche peperoncino, certo che tutti possono cucinare ma pochi riescono bene e qui ha ragione mia madre che dice che “il cibo deve avere un dritto e un rovescio” e non si può presentare una sfiha/pizzetta come un grumo di pasta con dentro un grumo di carne, ci vuole quel che si dice una bella faccia e dice anche “il cibo si mangia prima con gli occhi”. LEI mia madre si comporta così anche quando lavora ai ferri, e se la vuoi aiutare devi farlo bene altrimenti te lo fa disfare. Torniamo ora alla “sfiha” che deve essere sottilissima e grande 20 cm di diametro ed in quel caso la chiamano “armena”, (la diocesi patriarcale di Gerusalemme appartenente alla Chiesa Apostolica Armena, fu fondata nell'anno 638. La giurisdizione del patriarcato si estende ai fedeli armeni di Israele, Palestina e Giordania. La sede del patriarcato è il quartiere armeno della Città Santa. Gli Armeni sono stati i primi ad abbracciare la religione cristiana nel 4° secolo. Abitando in un quartiere esclusivo sono riusciti nel corso dei secoli a mantenere la loro lingua e le loro tradizioni e la loro cucina cercando il più possibile a non farsi assimilare e nemmeno contaminare, solo negli ultimi decenni si assiste ad un aumento di matrimoni misti e ad un inserimento sociale mescolandosi con i cristiani palestinese) .  Torniamo alla “sfiha armena”: va cucinata sulla pietra nel forno pubblico come per il pane del quartiere oppure nel forno del quartiere armeno e in questo caso si affida il ripieno al fornaio e lui provvede alla pasta. Il lahm u ‘ajin palestinese (pizzette piccole nelle quali eccelle mia madre) si possono fare in un unico vassoio(unto preventivamente) in cucina di casa oppure nel solito forno pubblico come dicevo per la cottura degli involtini. Garantisco però che quelle portate nei vassoi neri presi in prestito dal fornaio sono le più buone .


Certo che quando abbiamo(Fatima ed io) deciso di creare questo blog la nostra intenzione di sicuro non era la competizione con chi riempie le pagine di facebook che ormai è considerato una piazza pubblica per informare e chiedere di sapere anche le cose + private e pubbliche senza più rispettare la cosiddetta “privacy” e non bisogna però negare l’importanza del mezzo per conoscere gli chef qualificati e bravissimi/e ed è per questo che guardiamo lo stesso per capire con una certa distanza perché sappiamo bene che i veri chef nei paesi arabi e anche in Palestina sono tutti uomini e alle donne il posto pure rispettabile di aiuto chef perché considerati più affidabili ma non c’è dubbio che le chef/casalinghe si sono sbizzarrite nell’inviare le loro ricette a dx e manca e per fare tutto ciò hanno sfruttato il loro tempo libero a continuare a cucinare per i mariti (chef) prima e per pubblicare le loro delizie poi.
“noi non siamo uguali” e non c’interessano il botta e risposta ma a NOI DELLA DIASPORA  interessa raccontare le nostre piccole memorie sbiadite e affievolite e magari scambiarci alcuni aneddoti per seguire le trasformazioni avvenute nel corso dei lunghi anni che ci hanno separato dalla madre patria e per continuare la storia raccontata e scritta da presentare ai nostri figli (ormai di seconda e terza generazione). Non c’interessa sapere come una donna Palestinese della Palestina o di altro paese del mondo fanno le fettuccine o le lasagne italiane ma c’interessa sapere come si continua a portare le vivande da cucinare come da tradizione nel forno pubblico come faceva allora mia nonna “Victoria”. Sarà una storia antica ferma nel tempo ma per fortuna sia rimasta per essere inserita (alla faccia dei Mc Donald) nei libri dello slow food che si sta riscoprendo anche nei posti più disparati della Palestina (i tanti coca cola e i fast food ha colpito anche là dove le donne comprano le porzioni di cibo e gli hamburger nei grandi centri di ristorazione per comodità o per scimmiottare chi della classe borghese crede di essere….), a questo proposito consiglio vedere il sito http://baitalkarama.org/” a Nablus gestito esclusivamente da donne e con l’aiuto di donne italiane sono riuscite a farsi conoscere e apprezzare anche in Italia e mantenere la tradizione dell’arte culinaria.
Buon appetito “sahteen u hana”, lo potete accompagnare con zuppe, insalata e yogurt oltre naturalmente alla tazza di tè.