lunedì 3 marzo 2014

Lo chiamiamo APERITIVO che ha lo stesso significato come per il “MASAT” فاتح شهيه

Il nostro aperitivo è stato commissionato e preparato da noi appositamente per una presentazione di una mostra fotografica, lo possiamo inserire benissimo come seguito del buffet che abbiamo  già preparato prima di questo inserto.
Lo chiamiamo  APERITIVO che ha lo stesso significato come per il “MASAT” فاتح شهيه  


Siccome l’incontro per la presentazione era dedicato alla Palestina, non poteva che essere  un aperitivo palestinese . L’abbiamo preparato in giornata e in modo che arrivi fresco e saporito. Le cose importanti che abbiamo preparato erano in parte uguali al menù del buffet con la differenza che in questo caso sarà limitato al consumo in piedi e senza posate, cosa che obbliga i partecipanti a fare degli assaggini senza doversi sedere e concentrare l’attenzione più all'evento in questione.      
Cos'è un aperitivo? A questa domanda si risponde sempre pensando al bere ed è spesso così, un analcolico o un amaro o uno spumantino o anche dei semplici succhi di frutta (per le bevande in Palestina guardate in fondo a questo articolo). Spesso sembra che sia così ma forse non facciamo caso alle cose che accompagnano queste bevande che altrimenti provocherebbero dei capogiri o bruciori lo stomaco. Di solito sono consumati al mattino dopo una laurea oppure nel pomeriggio durante una presentazione di una mostra oppure quando si è con gli amici per annunciare un evento o anche per congratularsi di ricorrenze importanti di  25° o 50°.

In Palestina l’aperitivo si offre spesso agli invitati ad un matrimonio “che non parteciperanno al pranzo nuziale”, si fa in genere subito dopo il matrimonio all'uscita dalla cerimonia, può essere all'ingresso della chiesa o all'interno di una sala attigua. In genere si prediligono i dolci ma ormai è diventato  abituale offrire un piccolo aperitivo in piedi per brindare ed augurare felicità agli sposi, di solito è senza piattini e nemmeno posate e perciò “il cibo”, “dolce o salato” deve essere di misura piccola da consumare in fretta in un boccone tipo le pizzette formato piccolo con carne sfiha,o involtini sambusek o manakish o sfoglie con zatar o con creme o anche dei bignè che sono molto in uso in Palestina e per facilitare e velocizzare la consumazione, le eventuali salse vengono spalmate direttamente sulle fettine di pane tostato.

Il mondo ormai globalizzato partorisce idee e ricette di mille tradizioni diverse e le fa simili nel servizio  rispettando i costumi e le abitudini locali di ogni paese. 

Come girano i popoli girano anche le cucine e le ricette, oggi troviamo i fagiolini dell’Egitto in inverno e così pure l’uva del Cile o l’aglio della Cina ecce  ecc giusto per dire che non ci sono più “frutta e verdura di stagione” e a malincuore dobbiamo accettare questi grandi cambiamenti.

Per le bevande in Palestina
Spesso mi chiedono: come mai voi palestinesi non bevete vino? Tutti credono che siamo dei poveretti perché non beviamo vino ma non sanno forse che gli alcolici non sono permessi, perciò non è permessa la distribuzione del vino e degli  alcolici e super alcolici.  Sono invece di grande consumo le bevande analcoliche e la grande varietà di spremute di frutta e di acque ai fiori d’arancio o di rose o anche alla menta o il succo di melograno e tamarindo e carrubo e mandorlo tutti con il ghiaccio, ci sta anche la birra analcolica ecc ecc. Sappiamo che la Palestina non produce vino e non vende vino ma sappiamo anche che tante persone (cristiani e stranieri ) lo consumano nei luoghi privati e non pubblici.

In Palestina il vino è stato da sempre prodotto dai Salesiani arrivati in Palestina già dal 1880 circa lo producevano per il loro consumo privato e per le messe, questo vino veniva prodotto presso le loro sedi e conventi dislocati in tutta la Palestina e con il tempo è diventato uno strumento di reddito .
Allora questo vino non lo si può chiamare palestinese solo perché i vitigni sono palestinesi e la terra è palestinese, la stessa cosa allora sarà la considerazione del vino prodotto dai coloni negli insediamenti (stessa terra e stesse viti) ma questo non è corretto nonostante la differenza tra i Salesiani ed i coloni anche se tutti i due insediati su terreni palestinesi, sappiamo che i primi prestano opere di sostegno ed aiuto sociale alle famiglie mentre gli altri sfruttano le terre fertili e l’acqua per i loro interessi.

Parlando del vino non si può non parlare di Cremisan e del muro che tra non molto attraverserà la collina di Beit Jala (villaggio dove sorge il convento dei frati) il fiore all'occhiello di bellezza naturale e panoramica Beit Jala presto sarà circondata da un muro alto 8 metri uguale a quello di Betlemme e questo benedetto convento sarà collocato dalla parte di Gerusalemme perché qualcuno lo ha voluto così.
Non facendo parte della tradizione palestinese il vino non viene consumato da tutti i palestinesi perché i palestinesi musulmani non consumano vino ed i cristiani non lo bevono molto perché tradizionalmente non fa parte degli usi e costumi e perché costa molto, allora è più conveniente ai frati passare dall'altra parte anzi sarà il muro a fare questa spartizione, il convento passerà sotto la giurisdizione degli israeliani che bevono abitualmente molto vino e da dove i frati potranno vendere meglio il loro vino (500.000 bottiglie di vino all'anno a 18.00 EU a bottiglia) lo venderanno agli israeliani e lo esporteranno più facilmente da Israele che dalla Palestina rinchiusa in un recinto senza vie d’uscita al mondo esterno.
Sono convinta che la solidarietà non deve passare attraverso il vino ma attraverso la lotta pacifica per impedire che questo muro venga eretto per non condannare le famiglie di Bet Jala a non coltivare e vivere il piacere dell’ambiente sano e libero dagli invasori. 
Chiedo per favore a tutti coloro che cucinano cibi tipici palestinesi di non abbinare il cibo al vino salesiano/palestinese e di non chiamare la degustazione “enogastronomica”, perché i palestinesi che tanti chiamano arabi per dire musulmani non possono bere vino e noi arabi cristiani dobbiamo portare rispetto e consumarlo in privato e senza tanti proclami perché anche noi facciamo parte di questa società palestinese.