Eccoci di nuovo a scrivere sul
nostro (Fatima ed io ) blog “cucina cultura” oppure “cucina della resistenza”:
Incontro con gli studenti ottobre/novembre 2014.
Quando mi ha chiamato Loredana (amica di Roberta e Presidente dell’Auser di Dolo) per chiedermi se ero disponibile a incontrare gli studenti presso l’Istituto Professionale di Stato per l’Enogastronomia e l’Ospitalità Alberghiera Cesare Musatti di Dolo per un interscambio culturale contro il pregiudizio razziale e per parlare con gli studenti e presentare il cibo palestinese come cultura e storia di appartenenza ad un territorio che da sempre in conflitto, questo popolo ha sempre combattuto e resistito per non perdere la sua identità e la sua cultura come ha perso gran parte della sua terra .
Il giorno 30 ottobre ed il 5 novembre sono stati indicati dai docenti come “due appuntamenti con la Palestina” facente parte di una rassegna di cucina etnica“teorico/pratica”oltre ad un terzo incontro da preparare per il 26 novembre prossimo. Accetto l’invito e vado con i miei tipici strumenti di resistenza pacifica per spiegare loro come vengono impiegate le spezie nella gastronomia palestinese, ritengo che le spezie sono l’anima della cucina e della gastronomia in tutto il mondo ed anche in Palestina.
Una ventina di vasetti contenenti le varie polveri, semi , oli profumati e colorati oltre alle piante aromatiche. Disposti su un tavolino coperto con la mia solita kefiah “bianco/nera”insieme a due focacce fatte con la pasta/pane al sesamo ed alla nigella .
Nell'aula video c’erano una quarantina di studenti oltre a qualche docente ben disposti ad ascoltare ciò che avevo da dire. Non potevo non iniziare con la mia storia personale e quella della Palestina ed il motivo che mi ha indotta ad avvicinare la cucina tipica pur sapendo che il mestiere d’infermiera professionale era ben lontano dalla cucina e dal cibo. Raccontavo che al mio arrivo in Italia non ero minimamente interessata a cucinare perché nei miei primi 18 anni non avevo mai cucinato nemmeno un uovo.
Quando mi ha chiamato Loredana (amica di Roberta e Presidente dell’Auser di Dolo) per chiedermi se ero disponibile a incontrare gli studenti presso l’Istituto Professionale di Stato per l’Enogastronomia e l’Ospitalità Alberghiera Cesare Musatti di Dolo per un interscambio culturale contro il pregiudizio razziale e per parlare con gli studenti e presentare il cibo palestinese come cultura e storia di appartenenza ad un territorio che da sempre in conflitto, questo popolo ha sempre combattuto e resistito per non perdere la sua identità e la sua cultura come ha perso gran parte della sua terra .
Il giorno 30 ottobre ed il 5 novembre sono stati indicati dai docenti come “due appuntamenti con la Palestina” facente parte di una rassegna di cucina etnica“teorico/pratica”oltre ad un terzo incontro da preparare per il 26 novembre prossimo. Accetto l’invito e vado con i miei tipici strumenti di resistenza pacifica per spiegare loro come vengono impiegate le spezie nella gastronomia palestinese, ritengo che le spezie sono l’anima della cucina e della gastronomia in tutto il mondo ed anche in Palestina.
Una ventina di vasetti contenenti le varie polveri, semi , oli profumati e colorati oltre alle piante aromatiche. Disposti su un tavolino coperto con la mia solita kefiah “bianco/nera”insieme a due focacce fatte con la pasta/pane al sesamo ed alla nigella .
Nell'aula video c’erano una quarantina di studenti oltre a qualche docente ben disposti ad ascoltare ciò che avevo da dire. Non potevo non iniziare con la mia storia personale e quella della Palestina ed il motivo che mi ha indotta ad avvicinare la cucina tipica pur sapendo che il mestiere d’infermiera professionale era ben lontano dalla cucina e dal cibo. Raccontavo che al mio arrivo in Italia non ero minimamente interessata a cucinare perché nei miei primi 18 anni non avevo mai cucinato nemmeno un uovo.
E come mai
questo risveglio? Eppure non ero convinta di questa scelta nemmeno io ma per
amor di patria tutto si può e partendo dall’INIZIO mi riportai alla mia adolescenza
ed iniziai a ricordare il mio rapporto conflittuale con il cibo e con la cucina
e con mia madre. Forse perché non avevamo il gas in casa? O forse perché
non avevamo nemmeno l’acqua? E nemmeno la luce (ed io studiavo su una lampada a
gasolio)? Forse perché mia madre era una mamma molto giovane e non mi lasciava
spazio per non competere?
Non importa cosa erano le risposte che non mi sono mai data, mi bastava soltanto il mio legame spirituale con quella “terra” che, se fossi rimasta lì forse non mi sarei mai accorta del mio talento e per questo ringrazio all'infinito l’Italia per avermi dato la libertà e l’apertura mentale e spirituale di approfondire Il mio legame con l’Italia prima e con la Palestina poi, cose che mi hanno convinta d’iniziare un percorso quasi per gioco ma non era così, ad interessarmi del cibo e della “qualità dei prodotti”, forse avevo un debito ed un dovere che mi ha spinta a scoprire la bontà del nostro cibo palestinese.
All'epoca vivere a Gerusalemme voleva dire vivere di spiritualità, di studio, di cultura e di convivenza stretta con la famiglia e spesso perdere di vista la bellezza della natura e dei campi coltivati e fioriti dei villaggi che la circondavano e non vedere mai gli animali e gli uccelli e non avere la minima idea di come si mangia nei villaggi e nelle campagne più o meno vicine.
Come si fa a non riconoscere che l’Italia in questo e senza nessun pregiudizio ne discriminazione mi ha insegnato e guidato nelle scelte da raggiungere che oltre allo studio della lingua e delle tradizioni e abitudini sono riuscita anche a cercare la mia vera identità e rafforzare e riportare in superficie i miei desideri ed i miei sentimenti .
Ho iniziato a cucinare piatti italiani insieme a quelli palestinesi perché non sapevo se a mio marito sarebbe piaciuto il “mio cibo” che oltretutto non sapevo fare bene, ho tanto sbagliato e bruciato pietanze delle due cucine italiana e palestinese ma la mia tenacia e perseveranza come in tutte le cose che faccio alla fine si è realizzato il mio grande sogno di “prestarmi alla cucina palestinese attraverso una finestra italiana”
Le mie condizioni economiche sono migliorate e la prima cosa che ho fatto è comperare un pezzo di terra che in Palestina non avevo mai sognato ed ho coltivato alcuni ortaggi ,ho costruito un forno a legna per riprendermi il passato che non avevo, ho imparato a fare il pane “arabo” in casa ho cercato i cibi che non mi piaceva da piccola e li ho amati e perfezionati più degli altri, ho piantato alcuni alberi che non avevo mai visto prima scegliendo quelli a rischio estinzione a causa del continuo sradicamento da parte dell’esercito israeliano come forma di attacco e conquista e occupazione delle terre palestinesi, ecco che ho piantato l’azzeruolo, il giuggiolo, il fico il melograno le viti ed il sommacco ecc e non per ultimo L’OLIVO (vittima dei coloni israeliani) albero sacro e millenario che si identifica con le grandi famiglie rurali dedite da centinaia di anni alla sua coltivazione ed all’uso e vendita dei suoi numerosi consumi che vanno dal legno all'olio alle olive e per ultimo al famoso sapone di Nablus. Un milione di alberi d’olivo sono stati fin’ora bruciati o sradicati dai coloni come forma di vendetta verso un popolo intero.
Non potevano mancare anche le erbe aromatiche come
la “nigella la salvia e la menta e l’origano”.Non importa cosa erano le risposte che non mi sono mai data, mi bastava soltanto il mio legame spirituale con quella “terra” che, se fossi rimasta lì forse non mi sarei mai accorta del mio talento e per questo ringrazio all'infinito l’Italia per avermi dato la libertà e l’apertura mentale e spirituale di approfondire Il mio legame con l’Italia prima e con la Palestina poi, cose che mi hanno convinta d’iniziare un percorso quasi per gioco ma non era così, ad interessarmi del cibo e della “qualità dei prodotti”, forse avevo un debito ed un dovere che mi ha spinta a scoprire la bontà del nostro cibo palestinese.
All'epoca vivere a Gerusalemme voleva dire vivere di spiritualità, di studio, di cultura e di convivenza stretta con la famiglia e spesso perdere di vista la bellezza della natura e dei campi coltivati e fioriti dei villaggi che la circondavano e non vedere mai gli animali e gli uccelli e non avere la minima idea di come si mangia nei villaggi e nelle campagne più o meno vicine.
Come si fa a non riconoscere che l’Italia in questo e senza nessun pregiudizio ne discriminazione mi ha insegnato e guidato nelle scelte da raggiungere che oltre allo studio della lingua e delle tradizioni e abitudini sono riuscita anche a cercare la mia vera identità e rafforzare e riportare in superficie i miei desideri ed i miei sentimenti .
Ho iniziato a cucinare piatti italiani insieme a quelli palestinesi perché non sapevo se a mio marito sarebbe piaciuto il “mio cibo” che oltretutto non sapevo fare bene, ho tanto sbagliato e bruciato pietanze delle due cucine italiana e palestinese ma la mia tenacia e perseveranza come in tutte le cose che faccio alla fine si è realizzato il mio grande sogno di “prestarmi alla cucina palestinese attraverso una finestra italiana”
Le mie condizioni economiche sono migliorate e la prima cosa che ho fatto è comperare un pezzo di terra che in Palestina non avevo mai sognato ed ho coltivato alcuni ortaggi ,ho costruito un forno a legna per riprendermi il passato che non avevo, ho imparato a fare il pane “arabo” in casa ho cercato i cibi che non mi piaceva da piccola e li ho amati e perfezionati più degli altri, ho piantato alcuni alberi che non avevo mai visto prima scegliendo quelli a rischio estinzione a causa del continuo sradicamento da parte dell’esercito israeliano come forma di attacco e conquista e occupazione delle terre palestinesi, ecco che ho piantato l’azzeruolo, il giuggiolo, il fico il melograno le viti ed il sommacco ecc e non per ultimo L’OLIVO (vittima dei coloni israeliani) albero sacro e millenario che si identifica con le grandi famiglie rurali dedite da centinaia di anni alla sua coltivazione ed all’uso e vendita dei suoi numerosi consumi che vanno dal legno all'olio alle olive e per ultimo al famoso sapone di Nablus. Un milione di alberi d’olivo sono stati fin’ora bruciati o sradicati dai coloni come forma di vendetta verso un popolo intero.
Con tutto questo laborioso e faticoso lavoro ho cominciato a capire la lotta e la resistenza giornaliera del grande popolo palestinese contro l’occupazione sionista che dura da quasi 70 anni. Ho puntato molto sulla resistenza delle donne a conservare la tradizione del cibo nonostante l’introduzione del fast-food da parte delle multinazionali che con un astuzia approfittando della debolezza storica di una nazione che stava andando a rotoli, hanno inserito gli hamburger e gli hot dog per sostituire il nostro cibo millenario. Con tanta passione ho sempre cercato dei siti e links arabi sul cibo e sulla storia dei piatti tipici palestinesi e mi sono arricchita di nozioni che spesso ho confrontato con links italiani per capire le differenze e le similitudini onde evitare ogni discriminazione e pregiudizio.
Con piacere ho raccontato agli studenti che era molto importante non abusare ma usare con cautela e parsimonia le spezie in cucina , e dato che la Palestina è un paese del Mediterraneo , non sarebbe difficile spiegare loro che le due cucine “italiana e palestinese” possono essere simili ma con procedure diverse.
Le due ore sono passate in fretta e non poteva mancare la curiosità degli studenti nell'avvicinare una storia di gastronomia non tanto lontana dalla loro ma privilegiava l’uso abituale delle più importanti spezie tipo la cannella la curcuma il comino la noce moscata il cardamomo ecc. loro non esitavano a toccare ed annusare e assaggiare stupefatti le varie spezie.
Il secondo incontro era più impegnativo perché dovevo andare in cucina insieme a tanti ragazzi ed al loro CHEF , ero un po’ emozionata ma felice d’essere lì per insegnare loro 2/3 piatti semplici e per restare nel tema delle spezie ho scelto due menù contenenti le 7 famose spezie usate più o meno in quasi tutto il MO ma con modalità diverse..
Dopo una breve intervista fattami da parte di due studenti sono entrata in cucina accompagnata da due docenti, ho indossato un camice bianco (con sotto un mio grembiule abituale fatto con stoffa di kefiah) e in mano il mio solito canovaccio anch'esso dello stesso materiale per asciugarmi gli eventuali sudori.
Il menù era semplice : KEBAB (fatto in casa), PANE tipo piadina (anch'esso fatto in casa) e un piatto di HUMMOS tipico (fatto in casa). Tutto fatto e consumato in casa anche se considerato “cibo di strada”.
Il KEBAB in questione si chiamerebbe Shawerma ed è fatto inizialmente con la carne di montone o di vitello ed è di origine turca conosciuta fin dai tempi dell’Impero Ottomano mentre quella (Shawerma) di pollo è di origine Siriana, sono loro che hanno per primi adottato l’uso dello spiedo di metallo e la sua cottura sul carbone. ma per semplificare la richiesta dei clienti viene chiamato kebab come per la carne macinata e speziata ed infilata anch'essa su uno spiedino.
E’ stato molto interessante mostrare loro la marinatura della carne (usando il pollo) con lo yogurt e le varie spezie necessarie per il kebab: zenzero noce moscata pepe nero cumino curcuma cardamomo cannella oltre allo yogurt olio d’oliva aglio e limone.
La pasta per il pane era già preparata dallo chef, ma io con alcuni studenti l’abbiamo stesa sottile con il mattarello e cucinata sulle piastre antiaderenti , sono stati molto collaborativi ed interessati , mi ha stupito la loro educazione e rispetto oltre all'interesse mostratomi.Dopo aver cucinato una decina di piadine le abbiamo messe in un canovaccio per tenerle morbide al caldo.
Per il HUMMOS (crema di ceci condita con crema di sesamo) avevo incaricato 3 ragazzi a prepararlo.
Per ultimo siamo arrivati alla cottura della carne di pollo già marinata, l’abbiamo versata con il liquido di marinatura in due grandi padelle preriscaldate e con l’aiuto dei ragazzi l’abbiamo rigirata energicamente per farla asciugare in fretta. Una volta asciugata ero sicura che era già cotta al punto giusto ed allora l’abbiamo versata su un piatto grande ovale su un letto di cipolla bianca tagliata a julienne e spolverata con del SOMMACCO .
Anche la salsa HUMMOS è stata versata su un piatto di ceramica e decorata con alcuni ceci interi oltre alla spolverata di paprica dolce ed un filo di olio d’oliva.
Anche il PANE è stato messo su un vassoio vicino agli altri piatti e poi ci siamo dati il via alle foto ricordo e le riprese di gruppo, mi sono congedata salutando e ringraziando i docenti e lo CHEF lasciando tutti intorno ai piatti per gli assaggi.
Certo che nel mondo migliaia di persone muoiono ogni giorno per la carenza di cibo o per gli sprechi che il mondo “CIVILE” compie ogni giorno. No allo spreco no alla fame no alla morte per denutrizione e no alla povertà.Mi piace molto ricordare questo semplice proverbio MANGIARE PER VIVERE E NON VIVERE PER MANGIARE. Ricordando sempre che “il cibo” è RELAZIONE è COMUNICAZIONE è INCONTRO è PIACERE è SICUREZZA e PACE , e chi ha una storia solida e sicura di cucina, di sicuro potrà competere ed aiutare tanti popoli a combattere contro la fame nel mondo.
“Come dice acutamente Benjamin R. Barber, ‘nessun bambino americano potrà sentirsi sicuro nel suo letto se i bambini di Karachi o Baghdad non si sentiranno sicuri nei loro. Gli europei non potranno vantarsi a lungo delle proprie libertà se i popoli di altre parti del mondo rimarranno poveri e umiliati.”.
Ed io aggiungo anche “i bambini della Palestina hanno bisogno e diritto alla sicurezza libertà e pace”.
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