Oggi
7/1/2013 penso di cucinare “sfiha” “lahm u a’jin” che significa
pizzetta fatta con pasta pane stesa e sottile come una pagina e da qui
deriva il nome, mentre “lahm u a’jin” indica il ripieno che si mette sopra di carne
pomodoro cipolla olio pepe sale prezzemolo e anche peperoncino, certo che tutti
possono cucinare ma pochi riescono bene e qui ha ragione mia madre che dice che
“il cibo deve avere un dritto e un rovescio” e non si può presentare una
sfiha/pizzetta come un grumo di pasta con dentro un grumo di carne, ci vuole
quel che si dice una bella faccia e dice anche “il cibo si mangia prima con gli
occhi”. LEI mia madre si comporta così anche quando lavora ai ferri, e se la
vuoi aiutare devi farlo bene altrimenti te lo fa disfare. Torniamo ora alla “sfiha”
che deve essere sottilissima e grande 20 cm di diametro ed in quel caso la chiamano
“armena”, (la diocesi
patriarcale di Gerusalemme appartenente
alla Chiesa Apostolica Armena, fu fondata
nell'anno 638. La
giurisdizione del patriarcato si estende ai fedeli armeni di Israele,
Palestina e Giordania.
La sede del patriarcato è il quartiere
armeno della Città Santa. Gli Armeni sono stati i primi ad abbracciare la
religione cristiana nel 4° secolo. Abitando in un quartiere esclusivo sono
riusciti nel corso dei secoli a mantenere la loro lingua e le loro tradizioni e
la loro cucina cercando il più possibile a non farsi assimilare e nemmeno
contaminare, solo negli ultimi decenni si assiste ad un aumento di matrimoni
misti e ad un inserimento sociale mescolandosi con i cristiani palestinese) . Torniamo alla “sfiha armena”: va
cucinata sulla pietra nel forno pubblico come per il pane del quartiere oppure
nel forno del quartiere armeno e in questo caso si affida il ripieno al fornaio
e lui provvede alla pasta. Il lahm u ‘ajin palestinese (pizzette piccole
nelle quali eccelle mia madre) si possono fare in un unico vassoio(unto
preventivamente) in cucina di casa oppure nel solito forno pubblico come dicevo
per la cottura degli involtini. Garantisco però che quelle portate nei vassoi
neri presi in prestito dal fornaio sono le più buone .

“noi non siamo uguali” e non c’interessano il botta e
risposta ma a NOI DELLA DIASPORA interessa raccontare le nostre piccole
memorie sbiadite e affievolite e magari scambiarci alcuni aneddoti per seguire
le trasformazioni avvenute nel corso dei lunghi anni che ci hanno separato
dalla madre patria e per continuare la storia raccontata e scritta da
presentare ai nostri figli (ormai di seconda e terza generazione). Non
c’interessa sapere come una donna Palestinese della Palestina o di altro paese del
mondo fanno le fettuccine o le lasagne italiane ma c’interessa sapere
come si continua a portare le vivande da cucinare come da tradizione nel forno
pubblico come faceva allora mia nonna “Victoria”. Sarà una storia antica ferma
nel tempo ma per fortuna sia rimasta per essere inserita (alla faccia dei Mc
Donald) nei libri dello slow food che si sta riscoprendo anche nei posti più
disparati della Palestina (i tanti coca cola e i fast food ha colpito anche là
dove le donne comprano le porzioni di cibo e gli hamburger nei grandi centri di
ristorazione per comodità o per scimmiottare chi della classe borghese crede di
essere….), a questo proposito consiglio vedere il sito “http://baitalkarama.org/”
a Nablus gestito esclusivamente da donne e con l’aiuto di donne italiane sono
riuscite a farsi conoscere e apprezzare anche in Italia e mantenere la
tradizione dell’arte culinaria.
Nice blog
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