La mia decisione di cominciare a mettere giù alcune annotazioni sul cibo palestinese nasce dopo aver fatto tanti anni di lavoro sull'identità culturale palestinese attraverso mostre e incontri e serate su personaggi illustri che della cultura hanno fatto grande la nostra storia nonostante i cent’anni di oppressione e distruzione delle strutture e dei fondamenti di un paese che vanta il più alto numero di alfabetizzati e laureati in tutto il M.O ed io direi (nonostante la tragedia) in tutto il mondo basta leggere il libro “cent’anni di cultura palestinese” di Isabella Camera d'Afflitto.
Quarantacinque anni in Italia non sono pochi per sviluppare una presa di coscienza matura e chiara per valutare quanto si è marciato in tutti questi anni su questa benedetta causa mai risolta e sono sempre convinta che i troppi aiuti umanitari verso la Palestina hanno viziato l’essenza del problema e creato dipendenza collettiva inducendo una larga fetta di popolazione ad abbandonare il lavoro per il quale hanno studiato per inseguire lavori umanitari di sussistenza con le ONG internazionali che da 60 anni operano in Palestina. Con questo non vorrei assolutamente criticare i benefici avuti sul terreno ma a lungo andare si è creata di fatto una dipendenza di comodo che difficilmente si potrà mai liberare.
Guardando il film di Norma Murcos “speranza velata” ho osservato le parole sacrosante che AL-BARBARI, YUSRA (1923) studiosa e pluripremiata e conosciuta a livello internazionale che condannava il fatto che la nostra causa sia stata barattata con qualche kilo di farina o zucchero che le UN da più 60 anni distribuiscono ai nostri sfollati che sostano ancora nei campi profughi vivendo di sussistenza accatastati e lasciati a se tessi senza il diritto alla giustizia ed al ritorno.
Dato che considero il cibo come la prima identità di un popolo e la colloco nei piani più alti della classifica in quanto ritengo che l’arte del “cucinare” è del popolo (massaie e cuochi) ed in particolare dei nostri contadini che lavoravano senza sosta per coltivare gli ortaggi e la frutta biologica che il mondo c'invidiava, ma siccome la nostra arte culinaria è millenaria sarà molto difficile assimilarla ed estinguerla nonostante i tentativi degli occupanti che prima sradicano gli alberi e poi confiscano le terre e rubano l’acqua lasciando i contadini in una specie di limbo ignari del loro futuro e disperati per uno stato di impotenza di fronte ad una potenza militare e sociale come mai vista in nessun paese al mondo.
Ecco che mi diletto a portare avanti una mia piccola risorsa di cercare le informazioni per dare voce al mio cuore che resta sempre interamente palestinese per raccontare prima a me stessa e miei figli e dopo agli amici e fidati che mi accompagnano nella mia vita quotidiana e nei piccoli progetti in favore dei un piccolo villaggio palestinese ad “Artas” che mi da l’input di fare qualche critica e qualche mea colpa per aggiustare qualcosa di questo puzzle al quale manca sempre qualche pezzo. Perciò cucino e cucino e cucino con le mia amiche che da anni collaborano con me (Silvia e Fatima) e sperimentiamo le cene, i buffets, gli assaggini e gli aperitivi che spesso offriamo in cambio di qualche aiuto per i nostri progetti, Fatima è una professionista del PC diventa una risorsa per pubblicare nel blog le mie “pseudo ricette” che raccontano con semplicità la storia del piatto più che la ricetta stessa che si può trovare in internet o in facebook magari stravolta e monca della sua essenza . Silvia è la nostra prof. di italiano e ci aiuta nel lavoro che riguarda la preparazione ed il racconto dei progetti. Per noi invece è importante studiare e cercare i motivi ed i modi di mangiare di una popolazione che ha subito diverse invasioni ed occupazioni che nonostante tutto non hanno scalfito ma rafforzato il legame e la professionalità nella cultura palestinese in generale.
Spesso passo delle ore nella ricerca sia nei libri che nei siti arabi che inglesi per capire questo sublime legame fisico e spirituale del palestinese con la terra e di seguito con il piatto.
Racconto qualche aneddoto di me e di mia madre e come vedevamo il cibo e come mia madre ormai 80 enne sceglieva le materie prime che ormai non ci sono più, non solo per causa dell'occupazione ma della nostra colpa come palestinesi che a volte corriamo a cercare il cibo facile “fast food” che danneggia la salute e anche la causa.
La nostra lotta per la nostra conservazione come popolo passa per forza attraverso la conservazione delle nostre tradizioni e usi e costumi. In questo momento storico non dobbiamo accettare di barattare la ns storia culturale con del cibo facile e veloce.
Saluti da Bassima
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