venerdì 19 dicembre 2014

Ultimo incontro del 26 novembre con gli studenti nella scuola alberghiera di Dolo


Ecco allora com'era andato il nostro ultimo incontro del 26 novembre con gli studenti nella scuola alberghiera di Dolo:

Arrivo alle ore 9.00 del mattino e vado direttamente in cucina dove trovo ad attendermi lo CHEF insieme ad una decina di studenti, mi sono confrontata subito con lo Chef ed ho trovato pronta la spesa che la scuola poteva provvedere: Riso lenticchie cipolle pasta/pane, tiro fuori la spesa che ho provveduto a comperare io: 
burgul (frumento spezzato) tahina e labaneh (crema di yogurt) oltre alle spezie e la pianta di menta. 

Le lenticchie erano già cotte e così pure i ceci, anche la pasta/pane l’aveva già preparata lo Chef ed era pronta per essere stesa a piadina per cucinarla sull'antiaderente, cosa che avevano provveduto i ragazzi. Altra pasta era preparata per le focacce al sesamo ed alla nigella.

Ho chiesto ai ragazzi di tagliare le cipolle a julienne per farle glassare in padella prima di metterle insieme alle lenticchie per la “mujaddara” e per il riso e ceci “qidreh” per fare il pranzo.

Il Prof delle bevande ha preso le indicazioni per preparare “sharab al laimun u na’na’” la bevanda con la menta fresca e limoni e si è arrangiato con altri studenti in un’altra sala. Ha preparato anche due bricchi di thè alla menta con cardamomo e thè alla salvia con cannella (per restare con il tema delle spezie).

Prima di versare il cibo nei vassoi ho fatto un salto nell'auditorium dove si svolgeva il convegno per salutare
e ringraziare gli organizzatori e gli ospiti e quando entro in sala sento un saluto con ovazione e affetto da parte degli studenti che già mi conoscevano. Mi presento e ringrazio gli organizzatori ed i docenti che mi hanno invitata. Non potendo fermarmi fino alla fine torno di corsa in cucina per versare il cibo nei “vassoi tipici” portati da casa oltre alla tovaglia/kefia tipica, che il prof di sala ha steso in maniera elegante (certo che curano anche l’aspetto), il hummos è stato in parte spalmato dai ragazzi sulle fettine di pane e così pure il labaneh per facilitare la consumazione. 

Quel giorno tutti i ragazzi si sono impegnati perché riesca bene i loro lavoro di futuri CHEF sia in cucina che al bar . Diverse tartine e dolci fatte da loro hanno completato e affiancato il nostro cibo palestinese . Non potevo che rimanere felice ed augurarmi che un nuovo incontro simile possa realizzarsi presto.

Tutti i Prof ed i Dirigenti della scuola insieme agli studenti e invitati hanno potuto assaggiare un cibo non loro ed apprezzare i sapori “dell’altro”. Hanno spezzato il pregiudizio e rotto il muro dell’indifferenza. Sono sicura che questo progetto rimarrà nelle menti degli studenti e così pure le foto ed i video girati per l’occasione oltre alle interviste.

Nell'auditorium c’erano anche due ospiti importanti dell’Africa regolarmente residenti in Italia che raccontavano le loro esperienze ma che purtroppo non sono riuscita a sentire le loro testimonianze. 

Giornate così si dovrebbero fare regolarmente per superare l’intolleranza, il pregiudizio e favorire l’integrazione, lo scambio e la relazione dei diversi “culturalmente” in quanto è solo utile e arricchente. 

Mi sento molto felice di portare un pezzo della Palestina nei luoghi lontani dove in genere non sono mai presente.

Grazie di tutto per tutti gli attori dell’evento e spero abbiano il coraggio di ripetere esperienze simili con altre realtà culturali presenti sul territorio.

Bassima



venerdì 28 novembre 2014

"A tavola dell'altro"


Incontro con gli studenti ottobre/novembre 2014

Eccoci di nuovo a scrivere sul nostro (Fatima ed io ) blog “cucina cultura” oppure “cucina della resistenza”: Incontro con gli studenti ottobre/novembre 2014.
Quando mi ha chiamato Loredana (amica di Roberta e Presidente dell’Auser di Dolo) per chiedermi se ero disponibile a incontrare gli studenti presso l’Istituto Professionale di Stato per l’Enogastronomia e l’Ospitalità Alberghiera Cesare Musatti di Dolo per un interscambio culturale contro il pregiudizio razziale e per parlare con gli studenti e presentare il cibo palestinese come cultura e storia di appartenenza ad un territorio che da sempre in conflitto, questo popolo ha sempre combattuto e resistito per non perdere la sua identità e la sua cultura come ha perso gran parte della sua terra .
Il giorno 30 ottobre ed il 5 novembre sono stati indicati dai docenti come “due appuntamenti con la Palestina” facente parte di una rassegna di cucina etnica“teorico/pratica”oltre ad un terzo incontro da preparare per il 26 novembre prossimo. Accetto l’invito e vado con i miei tipici strumenti  di resistenza pacifica per spiegare loro come vengono impiegate le spezie nella gastronomia palestinese, ritengo che le spezie sono l’anima della cucina e della gastronomia in tutto il mondo ed anche in Palestina.
Una ventina di vasetti contenenti le varie polveri,  semi , oli profumati e colorati oltre alle piante aromatiche. Disposti su un tavolino coperto con la mia solita kefiah “bianco/nera”insieme a due focacce fatte con la pasta/pane al sesamo ed alla nigella .
Nell'aula video c’erano una quarantina di studenti oltre a qualche docente ben disposti ad ascoltare ciò che avevo da dire. Non potevo non iniziare con la mia storia personale e quella della Palestina ed il motivo che mi ha indotta ad avvicinare la cucina tipica pur sapendo che il mestiere d’infermiera professionale era ben lontano dalla cucina e dal cibo.  Raccontavo che al mio arrivo in Italia non ero minimamente interessata a cucinare perché nei miei primi 18 anni non avevo mai cucinato nemmeno un uovo.

E come mai questo risveglio? Eppure non ero convinta di questa scelta nemmeno io ma per amor di patria tutto si può e partendo dall’INIZIO mi riportai alla mia adolescenza ed iniziai a ricordare il mio rapporto conflittuale con il cibo e con la cucina e con mia madre.  Forse perché non avevamo il gas in casa? O forse perché non avevamo nemmeno l’acqua? E nemmeno la luce (ed io studiavo su una lampada a gasolio)? Forse perché mia madre era una mamma molto giovane e non mi lasciava spazio per non competere?
Non importa cosa erano le risposte che non mi sono mai data, mi bastava soltanto il mio legame spirituale con quella “terra” che,  se fossi rimasta lì forse non mi sarei mai accorta del mio talento e per questo ringrazio all'infinito l’Italia per avermi dato la libertà e l’apertura mentale e spirituale di approfondire Il mio legame con l’Italia prima e con la Palestina poi, cose che mi hanno  convinta d’iniziare un percorso quasi per gioco ma non era così, ad interessarmi del cibo e della “qualità dei prodotti”, forse avevo un debito ed un dovere che mi ha spinta a scoprire la bontà del nostro cibo palestinese.
All'epoca vivere a Gerusalemme voleva dire vivere di spiritualità, di studio, di cultura e di convivenza stretta con la famiglia e spesso perdere di vista la bellezza della natura e dei campi coltivati e fioriti dei villaggi che la circondavano e non vedere mai gli animali e gli uccelli e non avere la minima idea di come si mangia nei villaggi e nelle campagne più o meno vicine.
Come si fa a non riconoscere che l’Italia in questo e senza nessun pregiudizio ne discriminazione mi ha insegnato e guidato nelle scelte da raggiungere che oltre allo studio della lingua e delle tradizioni e abitudini sono riuscita anche a cercare la mia vera identità e rafforzare e riportare in superficie i miei desideri ed i miei sentimenti .
Ho iniziato a cucinare piatti italiani insieme a quelli palestinesi perché non sapevo se a mio marito sarebbe piaciuto il “mio cibo” che oltretutto non sapevo fare bene, ho tanto sbagliato e bruciato pietanze delle due cucine italiana e palestinese ma la mia tenacia e perseveranza come in tutte le cose che faccio alla fine si è realizzato il mio grande sogno di “prestarmi  alla cucina palestinese attraverso una finestra  italiana”
Le mie condizioni economiche sono migliorate e la prima cosa che ho fatto è comperare un pezzo di terra che in Palestina non avevo mai sognato ed ho coltivato alcuni ortaggi ,ho costruito un forno a legna per riprendermi il passato che non avevo, ho imparato a fare il pane “arabo” in casa ho cercato i cibi che non mi piaceva da piccola e li ho amati e perfezionati più degli altri, ho piantato alcuni alberi che non avevo mai visto prima scegliendo quelli a rischio estinzione a causa del continuo sradicamento da parte dell’esercito israeliano come forma di attacco e conquista e occupazione delle terre  palestinesi, ecco che ho piantato l’azzeruolo, il giuggiolo, il fico il melograno le viti ed il sommacco ecc e non per ultimo L’OLIVO (vittima dei coloni israeliani) albero sacro e millenario che si identifica con le grandi famiglie rurali dedite da centinaia di anni alla sua coltivazione ed all’uso e vendita dei suoi numerosi  consumi che vanno dal legno all'olio alle olive e per ultimo al famoso sapone di Nablus. Un milione di alberi d’olivo sono stati fin’ora bruciati o sradicati dai coloni come forma di vendetta verso un popolo intero.

Non potevano mancare anche le erbe aromatiche come la “nigella la salvia e la menta e l’origano”.

Con tutto questo laborioso e faticoso lavoro ho cominciato a capire la lotta e la resistenza giornaliera del grande popolo palestinese contro l’occupazione sionista che dura da quasi 70 anni. Ho puntato molto sulla resistenza delle donne a conservare la tradizione del cibo nonostante l’introduzione del fast-food da parte delle multinazionali che con un astuzia approfittando della debolezza storica di una nazione che stava andando a rotoli, hanno inserito gli hamburger e gli hot dog per sostituire il nostro cibo millenario. Con tanta passione ho sempre cercato dei siti e links arabi sul cibo e sulla storia dei piatti tipici palestinesi e mi sono arricchita di nozioni che spesso ho confrontato con links italiani per capire le differenze e le similitudini onde evitare ogni discriminazione e pregiudizio.

Con piacere ho raccontato agli studenti che era molto importante non abusare ma usare con cautela e parsimonia le spezie in cucina , e dato che la Palestina è un paese del Mediterraneo , non sarebbe difficile spiegare loro che le due cucine “italiana e palestinese” possono essere simili ma con procedure diverse.
Le due ore sono passate in fretta  e non poteva mancare la curiosità degli studenti nell'avvicinare una storia di gastronomia non tanto lontana dalla loro ma privilegiava l’uso abituale delle più importanti spezie tipo la cannella la curcuma il comino la noce moscata il cardamomo ecc. loro non esitavano a toccare  ed annusare  e assaggiare stupefatti le varie spezie.

Il secondo incontro era più impegnativo perché dovevo andare in cucina insieme a tanti ragazzi ed al loro  CHEF , ero un po’ emozionata ma felice d’essere lì per insegnare loro 2/3 piatti semplici e per restare nel tema delle spezie ho scelto due menù contenenti le 7 famose spezie usate più o meno in quasi tutto il MO ma con modalità diverse..

Dopo una breve intervista fattami da parte di due studenti sono entrata in cucina accompagnata da due docenti, ho indossato un camice bianco (con  sotto un mio grembiule abituale fatto con stoffa di kefiah) e in mano il mio solito canovaccio anch'esso dello stesso materiale per asciugarmi gli eventuali sudori.

Il menù era semplice : KEBAB (fatto in casa), PANE tipo piadina (anch'esso fatto in casa) e un piatto di HUMMOS  tipico (fatto in casa). Tutto fatto e consumato in casa anche se considerato “cibo di strada”.

Il KEBAB in questione si chiamerebbe Shawerma ed è fatto inizialmente con la carne di montone o di vitello ed è di origine turca conosciuta fin dai tempi dell’Impero Ottomano mentre quella (Shawerma)  di pollo è di origine Siriana, sono loro che hanno per primi adottato l’uso dello spiedo di metallo e la sua cottura sul carbone.  ma per semplificare la richiesta dei clienti viene chiamato kebab come per la carne macinata e speziata ed infilata anch'essa su uno spiedino.


E’ stato molto interessante mostrare loro la marinatura della carne (usando il pollo) con lo yogurt e le varie spezie necessarie per il kebab: zenzero noce moscata pepe nero cumino curcuma cardamomo cannella oltre allo yogurt olio d’oliva aglio e limone.

La pasta per il pane era già preparata dallo chef, ma io con alcuni studenti l’abbiamo stesa sottile con il mattarello e cucinata sulle piastre antiaderenti , sono stati molto collaborativi ed interessati , mi ha stupito la loro educazione e rispetto oltre all'interesse mostratomi.Dopo aver cucinato una decina di piadine le abbiamo messe in un canovaccio per tenerle morbide al caldo.

Per il HUMMOS (crema di ceci condita con crema di sesamo) avevo incaricato 3 ragazzi a prepararlo.

Per ultimo siamo arrivati alla cottura della carne di pollo già marinata, l’abbiamo versata con il liquido di marinatura in due grandi padelle preriscaldate e con l’aiuto dei ragazzi l’abbiamo rigirata energicamente per farla asciugare in fretta. Una volta asciugata ero sicura che era già cotta al punto giusto ed allora l’abbiamo versata su un piatto grande ovale su un letto di cipolla bianca tagliata a julienne e spolverata con del SOMMACCO .

Anche la salsa HUMMOS è stata versata su un piatto di ceramica e decorata con alcuni ceci interi oltre alla spolverata di paprica dolce ed un filo di olio d’oliva.

Anche il PANE è stato messo su un vassoio vicino agli altri piatti e poi ci siamo dati il via alle foto ricordo e le riprese di gruppo, mi sono congedata salutando e ringraziando i docenti e lo CHEF lasciando tutti intorno ai piatti per gli assaggi.


Certo che nel mondo migliaia di persone muoiono ogni giorno per la carenza di cibo o per gli sprechi che il mondo “CIVILE” compie ogni giorno. No allo spreco no alla fame no alla morte per denutrizione e no alla povertà.Mi piace molto ricordare questo semplice proverbio  MANGIARE PER VIVERE E NON VIVERE PER MANGIARE. Ricordando sempre che “il cibo” è RELAZIONE è COMUNICAZIONE è INCONTRO è PIACERE è SICUREZZA e PACE , e chi ha una storia solida e sicura di cucina, di sicuro potrà competere ed aiutare tanti popoli a combattere contro la fame nel mondo.

“Come dice acutamente Benjamin R. Barber, ‘nessun bambino americano potrà sentirsi sicuro nel suo letto se i bambini di Karachi o Baghdad non si sentiranno sicuri nei loro. Gli europei non potranno vantarsi a lungo delle proprie libertà se i popoli di altre parti del mondo rimarranno poveri e umiliati.”.

Ed io aggiungo anche “i bambini della Palestina hanno bisogno e diritto alla sicurezza libertà e pace”.


Saluti a tutti e ci sentiamo dopo il terzo incontro/cucina/seminario di mercoledì 26 novembre e sempre nella stessa scuola.

lunedì 3 marzo 2014

Lo chiamiamo APERITIVO che ha lo stesso significato come per il “MASAT” فاتح شهيه

Il nostro aperitivo è stato commissionato e preparato da noi appositamente per una presentazione di una mostra fotografica, lo possiamo inserire benissimo come seguito del buffet che abbiamo  già preparato prima di questo inserto.
Lo chiamiamo  APERITIVO che ha lo stesso significato come per il “MASAT” فاتح شهيه  


Siccome l’incontro per la presentazione era dedicato alla Palestina, non poteva che essere  un aperitivo palestinese . L’abbiamo preparato in giornata e in modo che arrivi fresco e saporito. Le cose importanti che abbiamo preparato erano in parte uguali al menù del buffet con la differenza che in questo caso sarà limitato al consumo in piedi e senza posate, cosa che obbliga i partecipanti a fare degli assaggini senza doversi sedere e concentrare l’attenzione più all'evento in questione.      
Cos'è un aperitivo? A questa domanda si risponde sempre pensando al bere ed è spesso così, un analcolico o un amaro o uno spumantino o anche dei semplici succhi di frutta (per le bevande in Palestina guardate in fondo a questo articolo). Spesso sembra che sia così ma forse non facciamo caso alle cose che accompagnano queste bevande che altrimenti provocherebbero dei capogiri o bruciori lo stomaco. Di solito sono consumati al mattino dopo una laurea oppure nel pomeriggio durante una presentazione di una mostra oppure quando si è con gli amici per annunciare un evento o anche per congratularsi di ricorrenze importanti di  25° o 50°.

In Palestina l’aperitivo si offre spesso agli invitati ad un matrimonio “che non parteciperanno al pranzo nuziale”, si fa in genere subito dopo il matrimonio all'uscita dalla cerimonia, può essere all'ingresso della chiesa o all'interno di una sala attigua. In genere si prediligono i dolci ma ormai è diventato  abituale offrire un piccolo aperitivo in piedi per brindare ed augurare felicità agli sposi, di solito è senza piattini e nemmeno posate e perciò “il cibo”, “dolce o salato” deve essere di misura piccola da consumare in fretta in un boccone tipo le pizzette formato piccolo con carne sfiha,o involtini sambusek o manakish o sfoglie con zatar o con creme o anche dei bignè che sono molto in uso in Palestina e per facilitare e velocizzare la consumazione, le eventuali salse vengono spalmate direttamente sulle fettine di pane tostato.

Il mondo ormai globalizzato partorisce idee e ricette di mille tradizioni diverse e le fa simili nel servizio  rispettando i costumi e le abitudini locali di ogni paese. 

Come girano i popoli girano anche le cucine e le ricette, oggi troviamo i fagiolini dell’Egitto in inverno e così pure l’uva del Cile o l’aglio della Cina ecce  ecc giusto per dire che non ci sono più “frutta e verdura di stagione” e a malincuore dobbiamo accettare questi grandi cambiamenti.

Per le bevande in Palestina
Spesso mi chiedono: come mai voi palestinesi non bevete vino? Tutti credono che siamo dei poveretti perché non beviamo vino ma non sanno forse che gli alcolici non sono permessi, perciò non è permessa la distribuzione del vino e degli  alcolici e super alcolici.  Sono invece di grande consumo le bevande analcoliche e la grande varietà di spremute di frutta e di acque ai fiori d’arancio o di rose o anche alla menta o il succo di melograno e tamarindo e carrubo e mandorlo tutti con il ghiaccio, ci sta anche la birra analcolica ecc ecc. Sappiamo che la Palestina non produce vino e non vende vino ma sappiamo anche che tante persone (cristiani e stranieri ) lo consumano nei luoghi privati e non pubblici.

In Palestina il vino è stato da sempre prodotto dai Salesiani arrivati in Palestina già dal 1880 circa lo producevano per il loro consumo privato e per le messe, questo vino veniva prodotto presso le loro sedi e conventi dislocati in tutta la Palestina e con il tempo è diventato uno strumento di reddito .
Allora questo vino non lo si può chiamare palestinese solo perché i vitigni sono palestinesi e la terra è palestinese, la stessa cosa allora sarà la considerazione del vino prodotto dai coloni negli insediamenti (stessa terra e stesse viti) ma questo non è corretto nonostante la differenza tra i Salesiani ed i coloni anche se tutti i due insediati su terreni palestinesi, sappiamo che i primi prestano opere di sostegno ed aiuto sociale alle famiglie mentre gli altri sfruttano le terre fertili e l’acqua per i loro interessi.

Parlando del vino non si può non parlare di Cremisan e del muro che tra non molto attraverserà la collina di Beit Jala (villaggio dove sorge il convento dei frati) il fiore all'occhiello di bellezza naturale e panoramica Beit Jala presto sarà circondata da un muro alto 8 metri uguale a quello di Betlemme e questo benedetto convento sarà collocato dalla parte di Gerusalemme perché qualcuno lo ha voluto così.
Non facendo parte della tradizione palestinese il vino non viene consumato da tutti i palestinesi perché i palestinesi musulmani non consumano vino ed i cristiani non lo bevono molto perché tradizionalmente non fa parte degli usi e costumi e perché costa molto, allora è più conveniente ai frati passare dall'altra parte anzi sarà il muro a fare questa spartizione, il convento passerà sotto la giurisdizione degli israeliani che bevono abitualmente molto vino e da dove i frati potranno vendere meglio il loro vino (500.000 bottiglie di vino all'anno a 18.00 EU a bottiglia) lo venderanno agli israeliani e lo esporteranno più facilmente da Israele che dalla Palestina rinchiusa in un recinto senza vie d’uscita al mondo esterno.
Sono convinta che la solidarietà non deve passare attraverso il vino ma attraverso la lotta pacifica per impedire che questo muro venga eretto per non condannare le famiglie di Bet Jala a non coltivare e vivere il piacere dell’ambiente sano e libero dagli invasori. 
Chiedo per favore a tutti coloro che cucinano cibi tipici palestinesi di non abbinare il cibo al vino salesiano/palestinese e di non chiamare la degustazione “enogastronomica”, perché i palestinesi che tanti chiamano arabi per dire musulmani non possono bere vino e noi arabi cristiani dobbiamo portare rispetto e consumarlo in privato e senza tanti proclami perché anche noi facciamo parte di questa società palestinese.

martedì 4 febbraio 2014

Cosa sono i “masat” o muqabbalat o antipasti مقبلات او مازات

Gli antipasti o Muqabbalat sono dei cibi o alimenti vari freddi o tiepidi che di solito precedono il pasto vero e proprio per questo si chiamano muqabbalat, che significa prima o "qabl" o anche stimolanti dell’appetito.
Sono cibi fatti di verdure e di cereali o legumi conditi con spezie e con limoni, ogli, aglio, cipolla, prezzemolo e frutta secca per rendere il piatto ancora più appetitoso e preparare lo stomaco al piatto più importante e caldo che segue.  Questa tradizione, famosa in tutto il MO è un autentico monumento nazionale già conosciuta fin dal Medioevo ed anche in Turchia e Iran, ma ovviamente con nomi diversi. Fin dai tempi dei sultani questi cibi rappresentavano un rito collettivo che ci riporta agli antichi fasti dei banchetti di corte dell’era Ottomana (XIX sec.). La parola masa deriva dal persiano “tamazzaza” (gustare a piccoli bocconi), e dal vocabolo turco “mezegater” (tavola), e usata dall’area geografica di  “Biladassham” o il levante.

La cucina levantina è diffusa in molti stati arabi: Siria, Libano, Israele, Giordania, Palestina, Iraq del Nord e Turchia del sud e anche nell'Egitto.

Tutte le cucine dell’Impero Ottomano usavano preparare un’infinità di piccoli piatti da offrire all'ospite, che grazie alle diverse forme e colori dovevano sedurre l’occhio prima ancora del palato. Questo culto per gli antipasti, rappresenta per i libanesipalestinesi ed i siriani il miglior pretesto per brindare allegramente con la bevanda nazionale: “l’arak” (distillato d’uva aromatizzato all'anice verde di Damasco, noto anche come “lacrime della Vergine” (comunità cristiane) o “latte dei leoni”, (una bevanda che mette d’accordo tutti, musulmani e cristiani in quanto spesso viene usata anche per scopi “curativi”: impacchi da mettere sulla fronte o sulla pancia per lenire i dolori e come gargarismi per il mal di denti e la disinfezione del cavo orale. Ricordo bene mia madre sempre con un impacco di arak sulla “bocca dello stomaco” oppure con un fazzoletto imbevuto di arak sulla fronte e lo usava anche per noi in caso di qualsiasi disturbo).

Come nascono i “masat”?


Data la loro storia antica si può credere che questo cibo non necessitava per forza di una lunga cottura, era facile per le famiglie preparare un pranzo velocemente usando poco il fuoco, in quanto non si aveva più di un solo fornello (noi a casa avevamo il famoso babor svedese in ottone che andava a gasolio) e per questo che la maggior parte dei nostri pranzi si mandavano al forno pubblico. L’uso smoderato del fornello incideva molto sul menù e sul bilancio famigliare e sulla qualità dei vegetali che arrivavano direttamente dai campi per essere consumati senza doverli conservare per la mancanza di frigoriferi. Era comodo anche perché si potevano preparare in tempo per un eventuale pranzo o banchetto di festa. 

Nel Libano per esempio (il paese più importante in questo tipo di preparazione), questa nobile origine deriva da una tradizione popolare fra le donne contadine della vallata della Bekaa nel Libano meridionale ( oasi fertile piantata di frutta e verdura e cereali), le quali celebravano il rito del raccolto e le feste agricole e religiose intorno ad una tavola imbandita con decine di delizie. 


Nel caso della Palestina “almuqabbalat” vengono usati a largo spettro e senza essere per forza seguiti da un pranzo caldo, alcuni vengono consumati al mattino tipo il Hummos, olive sotto aceti labaneh, za’tar, ecc ecc ed altri a pranzo e cena. I masat più usati sono: Olive(verdi e nere), hummos (con tahina e limoni), tabbouleh (burgul con prezzemolo e pomodori),  muhammara  o salsa piccante (con peperoncino e pomodori e paprika), manakish (focacce con za’tar ), fattoush (insalata con verdure rigorosamente fresche e pane raffermoa  pezzetti), labaneh (yougurt sgocciolato dall’acqua), babaganouj (purè di melanzane con yogurt o tahina),  tahineh ( in salsa con limone e aglio), falafel (ceci e prezzemolo fritti), za’tar u zeit (due piattini di za’tar e olio d’oliva), pane pita arabo o shrak  stirato e cucinato sulla piastra.

Ecco la maggior parte di questi piatti elencati sono fatti a freddo o comperati da una bottega specializzata perché costano meno e perché non si debba consumare la bomboletta di gas di casa per cucinare cose che si possono reperire al mercato tipo il falafel ed il hummos ed i manakish a buon mercato.

Ci sono altri piatti degni di essere presentati in caso di ospiti e che costano una cifra maggiore tipo il shawarma (che qui chiamano kebab)  la sfiha (tipo pizzette coperte con carne macinata e speziata), sambusek (mezze lune ripiene di carne che si possono comperare come fare in casa e mandare al forno), kibbeh (fatta di burgul fine e ripiena di carne e cipolla e poi fritta), spiedi di kebab o kifta (carne macinata e condita con spezie) ecc ecc ecc ). Per servire queste varietà di alimenti è necessario assolutamente il pane tipico arabo (quello a tasca o anche quello tirato sottile)  per poterlo staccare dal piatto tra il pollice, l’indice ed il medio della mano destra, sostituendo l’uso delle posate.

Ricordo che da piccola andavo a volte a Ramallah con i miei, città famosa per i masat tipici chiamati “libanesi” e serviti in ristoranti tipici con giardini con altalene e giochi e parchi estivi per famiglie. 

Mia madre non aveva mai preparato tanti piatti così per precedere un pranzo vero e proprio forse per i costi o forse per il lungo tempo che richiede per prepararli o forse perché non avevamo tutte le verdure necessarie contemporaneamente ma di sicuro quando raramente andavamo a Ramallah (la signora degli antipasti) non ci faceva mancare tutto quel ben di dio in una volta sola insieme agli spiedini di carne ai ferri ed al polletto (frakh) con le patate fritte. Lei sapeva bene che tutti gli altri pranzi poteva prepararli a casa ma queste delizia no.

Guardando la situazione attuale del M.O non possiamo più tenere in considerazione le possibilità economiche delle famiglie medio basse e non possiamo di sicuro pensare che tutte le famiglie possano pranzare o cenare allo stesso modo, basta vedere Gaza oggi senza corrente elettrica e acqua e gas e non dobbiamo stupirci se una famiglia di 10 persone si siede intorno ad un piatto di HUMMOS comperato con pochi shekel e qualche pomodoro e qualche pane per mangiare un pasto unico nella giornata. Così pure nell'Egitto delle due facce (ricca e povera) dove la classe media non esiste più, anche lì troviamo un piatto di fave che sfama una grande famiglia. Oggi vediamo anche la Siria che per noi palestinesi è considerata la madre del M:O ridotta a macerie per la volontà di un mondo senza scrupoli che arma le mani di delinquenti e terroristi per distruggere una storia millenaria, per poi dividersi “le commesse” della ricostruzione che mai sarà com'era prima.
Per tutti questi motivi drammatici siamo sempre chiamati a rispondere alla storia e per continuare a vivere e far sopravvivere le nostre tradizioni per non scomparire nel nulla e fare il gioco di chi ci vuole morti insieme alle nostre tradizioni. Per questi motivi noi della diaspora insieme ai nostri fratelli dobbiamo continuare la nostra resistenza culturale portando avanti anche la nostra cucina e tutti i nostri deliziosi piatti.  


Sono un pezzo di carta e controllo la tua intera vita.