venerdì 9 novembre 2012

PERCHE’ LA CUCINA CULTURALE DELLA PALESTINA?


COME LA POSSIAMO TRASMETTERE?
DOVE LA FACCIAMO?
QUANDO?


Il nostro progetto nasce per caso quando un giorno dissi a mia amica (molto più giovane di me), perché non troviamo il modo di raccontare un po’ le nostre tradizioni culinarie e gli squisiti piatti tipici delle città e dei villaggi e di rendere pubblico il perché abbiamo deciso di informare i nostri amici sulla storia culturale del cibo della nostra terra natia?  Con questo non vogliamo assolutamente arrogarci il diritto di fare credere che siamo perfette e meritevoli di licenza da chef, perché sicuramente fare cucina Palestinese in Italia sembra sia uguale al fare cucina italiana in Palestina, ma non è sempre così. Ogni nazione o anche ogni etnia ha delle caratteristiche tipiche che la distinguono da un’altra, caratteristiche impresse come il DNA, perciò è logico che la cucina palestinese della diaspora non è uguale a quella della terra d’origine, questo è dovuto principalmente alle mani esperte delle donne, al clima, all’acqua, al tipo di terra ed ai semi ecc ecc, ma noi e con tanta modestia vogliamo spiegare che si può anche fare perché altrimenti non saremmo mai in grado di continuare una storia millenaria senza la quale la nostra memoria scritta o raccontata sarebbe monca della parte socio/culturale più importante e cioè quella culinaria.

Per tutte queste ragioni abbiamo portato con noi in diaspora il nostro cibo con tutti i suoi profumi e le sue spezie e la sua bellezza come abbiamo portato anche tutti i nostri ricordi più belli “le nostre fotografie i nostri poeti musicisti cantanti ballerini e ballerine della danza popolare le fotografe ed i fotografi ed anche le donne pioniere (che sono tante) che il mondo conosce poco o non vuole riconoscere”. Oltre a tutti questi ingredienti abbiamo messo il nostro amore infinito e la nostalgia per la nostra terra tanto amata ma purtroppo perduta.
Noi con tanta umiltà e tanta buona volontà continueremo a lottare e resistere a tutte le traversie che la vita ci ha riservato e cogliamo ciò che la vita ci offre perché ci adattiamo ad ogni condizione e a  ogni ambiente in cui ci troviamo.

Per rimanere nel campo della cucina e del cibo abbiamo deciso (mia amica ed io) di lavorare sulle nostre capacità culinarie (vi garantisco che sono ottime) per presentare ed organizzare dei corsi per insegnare ad usare le tecniche e gli strumenti giusti per realizzare un piatto tipico perché se lasciamo fare ci sentiremo responsabili degli errori e pasticci che TANTA GENTE compie cercando di imitare e copiare i nostri piatti mediterranei come sapore spesso pasticciando facendolo passare per un piatto di cucina Palestina.
“Cena Palestinese” oppure “Cucina Palestinese”, potrebbero sembrare un insulto ad una popolazione che tutti i giorni si deve difendere contro un’occupazione militare oltre all’occupazione e l’usurpazione delle tradizioni e prima di tutto del cibo.

La terra della Palestina era per la maggior parte agricola e dico era perché la ricordo bene prima della mia partenza come tutti gli altri che sono partiti, la ricordo prima del muro, prima del posto del blocco, prima degli insediamenti e prima della confisca delle terre.
Allora sì si chiamava terra dei FALLAHIN e delle FALLAHAT( contadini). Ricordo con nostalgia come cucinava mia madre, anche se non sono più giovane credo di ricordare bene come sceglieva gli ortaggi che ci arrivavano direttamente a casa, le contadine erano così tante che arrivavano dai villaggi vicini e si accaparravano le famiglie a Gerusalemme, arrivavano tutte le mattine con in testa la cesta piene di prodotti della “terra di latte e miele”, non mancavano nemmeno le erbe aromatiche e la frutta secca (seccata al sole) zibibbo mandorle datteri albicocche secche melassa di uva e di datteri ecc ecc. spesso anche le lumache da orto o le olive ed il formaggio fatto in casa.

Prendi dicevano a mia madre “questa verza” è baladieh, questo cavolfiore è baladi e queste zucchine sono baladiat. Baladi vuol dire nostrano di coltivazione famigliare senza prodotti chimici e senza teli di nylon perché la nostra terra non aveva bisogno di tante cure, ricordo di aver visto crescere le verdure in mezzo alle pietre e senza rispettare i tanti canoni delle file tirate a filo ecc ecc si prendeva quello che la terra dava e vi assicuro che non c’era una zucchina o una melanzana uguale all’altra.

Da lì sono partita e non sono più tornata e cominciai  ad applicare le mie piccole conoscenze per sviluppare le mie esperienze “non di coltivare” ma di scegliere le verdure come vedevo fare da mia madre ormai 84 enne che anche lei dal momento della mia partenza non ha più avuto la sua contadina perché quella contadina non poteva più portare i suoi vegetali (qualora le avesse). l’occupazione le ha portato via la terra ed al suo posto ha eretto un muro ed un posto di blocco per impedirle di arrivare alle sue solite clienti.
Ora al mercato si possono trovare alcune donne clandestine e spesso anche loro rivendono zucchine e melanzane ed altro, coltivate all’interno degli insediamenti, zucchine a centinaia in ordine in cartoni targati Israele, zucchine della stessa misura che le donne comperano lo stesso restando nostalgiche del tempo che fu .

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