martedì 31 dicembre 2013

Al ‘araes العرايس

LE SPOSE o عروس sposa 


Cosa sono? Sembra parlare di vestito da sposa, quell’abbigliamento elegante stretto e lungo che fascia il corpo di una bella donna per renderlo ancor più bello in un giorno speciale.
Questa piccola premessa mi permette di entrare nell'argomento che oggi vorrei presentare come uno stuzzichino da mangiare in piedi o per strada e senza i convenevoli obbligatori che di solito uniscono a tavola diverse persone per consumare un pranzo tipico palestinese o arabo.
Dopo questa dovuta piccola premessa posso dire che la parola  ‘arous  vuol dire un panino arrotolato ripieno di carne speziata o di verdure o qualsiasi altra cosa da portare a presso o acquistare per strada da consumare freddo o caldo. Questo panino è facile e veloce da preparare e non costa molto, lo si trova in tutta la Palestina ed in diversi paesi arabi principalmente mediterranei. 
La prima volta che ho sentito chiamare un panino ‘arous fu tantissimi anni fa nel Libano mentre ero andata con i miei genitori a trovare la famiglia di mia zia anch'essa profuga nel Libano, andammo in treno da Gerusalemme ed io avevo 5/6 anni e mio fratello 4/5 anni, restammo lì per 15 gg. La famiglia di mio zio era scappata dal loro villaggio Fassuta al nord della Galilea subito dopo il matrimonio del figlio e finiti nel Libano, sappiamo benissimo che i palestinese dei villaggi del nord tipo Safed, Sakhnin, Daburiyya e Saffourah trovarono rifugio oltre il confine con il Libano. 

Per tornare al mio panino ricordo che la parola ‘arous l’ho sentita per la prima volta quando mia zia mi chiese se volevo “’arous bi labaneh”, non capivo cosa fosse ‘arous ma quando mi diede il panino fatto di pane sottile tirato ma arrotolato come un sigaro grosso capì che il labaneh (crema di yogurt) era spalmata dentro, non capivo però il perché di questo nome.
Dopo tanti anni scoprì il pane “shraq” tirato sottile che si usa in Palestina per il piatto tipico più famoso “mansaf”e così capì di nuovo che non c’era niente di strano se non il modo raffinato ed elegante di presentare un panino ai bambini o anche ai grandi per non sporcarsi le mani e nemmeno gocciolare per terra, così facendo rendevano il panino più gradevole nel gusto e nell’aspetto.  Dopo tantissimi anni ancora e durante una visita a Nazareth ed altre città del nord vidi che nelle botteghe vendevano dei mega panini arrotolati con labaneh o con za’tar u zeit o con shawarma o kebab e tutti si chiamavano “’arous”.
Nazareth come tutte le città della Palestina storica del nord ha diverse cose in comune con il Libano, tipo la cadenza dialettale il modo di vestire oltre al cibo ed il pane buonissimo sottile e tirato che sicuramente è diverso da quello di Betlemme o di Ramalla. 

Nella Palestina del centro e del sud abbiamo un pane simile ed anche le piadine e anche il pane pita arabo conosciuto anche come “raghif”, sono tutti diversi ma ugualmente buoni e si prestano a qualsiasi farcitura: falafel, kabab, shawarma e labaneh, frittata ecc ecc, anche se non lo chiamiamo “arous” ma “sandwich” non fa niente, è importante il contenuto e io preferisco chiamarlo sandwich (parola presa dagli inglesi che ci hanno occupato più di 20 anni).Quando uso il pane steso che faccio io in casa, allora lo chiamo “‘arous sposa” per la bellezza dell’involucro e la bontà del ripieno. Il pane pita in Palestina  diventa Arous per le frequenti trasformazioni ed i cambiamenti ecco che la corsa al panino farcito di tutto di più e secondo il mio modesto parere dobbiamo chiamarlo sempre “sandwich” oppure “raghif” se è pitta/arabo  e ‘arous se è steso sottile e farcito con l’amalgama di carne cruda macinata e speziata come per il kabab ma con l’aggiunta di un pomodorino tagliato a dadini, il tutto dentro questo panino arrotolato o piatto e metterlo poi in una tostiera o anche sotto la piastra di un fornetto per tostare pane e carne insieme .

E’ delizioso in una o nell’altra maniera.


  
Certamente è più facile e elegante tenere in mano un panino arus arrotolato perché assorbe l’eventuale liquido e non colerebbe sui vestiti e le mani, ma se si preferisce il pane piatto arabo tipico di Gerusalemme, basterebbe usare un pane leggermente più grosso che assorba i famosi liquidi. Per il nome non ha nessuna importanza ma conviene sempre chiamarlo  AROUS SOLO IN LIBANO perché solo loro lo sanno fasciare e rendere bello e buono come la bella linea di una sposa libanese.

La giovane donna libanese è come la sorgente che sprizza dal cuore della terra e scorre per le valli serpeggianti. Dal momento che non trova una foce nel mare, si trasforma in un calmo lago sulla cui superficie che cresce si riflettono le stelle e la luna scintillante. Autore sconosciuto

Buon Appetito
Bassima e Fatima

mercoledì 27 novembre 2013

Dolce cremoso chiamato “le notti del libano” قشطليه او ليالي لبنان

Oggi ho deciso di fare questo dolce a cucchiaino veloce e buono al palato ma anche bello da vedere, è nutriente e senza burro e uova, l’unico grasso che potrebbe essere è il grasso del latte e della panna qualora si scegliesse di metterla, del latte uso quello scremato e la panna la metto quando devo offrire questo piatto agli amici . Questa crema che io non posso chiamare budino che gli inglesi hanno adottato dopo averla presa dagli arabi mettendo il nome “pudding” ma continuo a chiamare crema qualsiasi piatto di dolce a cucchiaio che va dal “creme caramel” hitalieh= crema con amido con sciroppo allo zucchero bruciato, riso/latte o semolino/latte o amido/ latte. La crema di oggi è chiamata “layalilubnan” ليالي لبنان  che vuol dire le “notti libanesi” o قشطليه   che vuol dire hitalieh con قشطه panna, io da piccola non avevo mai mangiato questa crema con la panna, le nostre creme casalinghe erano al massimo semolino tostato con acqua e zucchero, non era male, qualche volta mia madre faceva anche l’amido con il latte e zucchero e aggiungeva l’acqua di rose elemento molto importante per distinguere le creme dai budini, pudding che in Palestina c’erano in abbondanza specialmente dopo il ventennio del Mandato Britannico che ha fatto e disfatto in Palestina.Ricordo anche che un giorno alla settimana preparavo delle coppette di semolino all'acqua e zucchero (حلاوة سميد) ed altri con riso e latte spolverati di cannella e li mettevo su un vassoio che mio fratellino portava su un piccolo banco in strada sotto casa per venderli, lo controllavo dalla finestra e correvo in caso di litigio con i compagni, aveva solo 6/7 anni era emozionante vedere che le persone si fermavano a degustare queste creme quando finiva dava una parte alla mamma come rimborso spese ed il resto lo tenevamo noi due per noi due per pagarci la scuola ed altre necessità. Questo succedeva quando ormai ripresi dalla catastrofe iniziavamo a vivere una vita in via di guarigione dalla tragedia del 48 che noi bambini ignoravamo la dimensione perché a scuola (privata) nessuno ci parlava.   

Per tornare al dolce con la panna molto diffuso nel Libano paese che ha rifinito il piatto guarnendolo con dei pistacchi oltre alla panna e lo sciroppo di zucchero e la cannella  perché il Libano è considerato un paese delle raffinatezze e delle bellezze naturali e anche della sua popolazione multietnica multiculturali e religiosa dove si mescola il divino ed il profano, lo ha adattato al gusto dei suoi cittadini molto più diversi che in Palestina (forse la tragedia del 48 ci ha uniti di più per resistere meglio alla dispersione della nostra eredità culturale) . Siccome il Libano è considerato il paese più energico per le movimentate notti di festa e divertimento, è risaputo che il Libano è il più ricco di clubs e di ristoranti e luoghi di svago con musica e balli, e per questo ho pensato all'origine di questo dolce che assomiglia un po’ alle caratteristiche del Libano in quanto è semi solido e cremoso con uno sciroppo che cola insieme alla panna ed al pistacchio in movimento, in Palestina non potrà mai chiamarsi “notturni palestinesi” o le notti in Palestina, sarebbe un insulto alle persone che vivono tutti i giorni e tutte le notti in stato di assedio o di resistenza agli attacchidell’esercito e coloni dell’occupazione. 

Altro che divertimento e spensieratezza.


Il Libano prese la sua indipendenza dalla Francia nel 43 e le rimase fedele come usi e costumi più che ai paesi arabi specialmente alla madre patria “La grande Siria”(prima della colonizzazione europea era una provincia della Siria) come del resto la Giordania e la Palestina ed una parte del sud della Turchia, cosa che ha sempre creato conflitti e rivalità tra tutti questi staterelli appena staccati dalle costole della Siria Madre per volere delle grandi potenze europee che continuavano a controllare a distanza dopo essersi spartiti la torta per motivi strategici economici e militari.I Libanesi hanno continuato a rimanere legati alla Francia continuando a parlare la lingua francese considerata quasi la prima lingua del paese oltre all’arabo, che parlano con una cadenza allungata che deriva dal siriaco e dall’aramaico storico della Siria. Il Libano nonostante tutte le guerre subite continua ad essere considerato “la svizzera del M.O” . Anche se i libanesi si sentono spesso “francesi”,i loro cibi restano comunque gli stessi nostri anche se i loro atteggiamenti assomigliano più ai loro colonizzatori, le nostre abitudini da palestinesi sono differenti, forse per la triste sorte che ci ha toccato e forse perché noi palestinesi abbiamo avuto la storia contro, siamo stati molto più sfortunati dagli altri stati arabi e per questo siamo più uniti per il nostro triste destino che ci aiuta a resistere per proteggere la nostra terra che pian piano ci sta sfuggendo via e per questo dobbiamo continuare la nostra battaglia pacifica che prima o poi ci darà ragione “questo mondo ingiusto e di parte”.
Per tornare al cibo ed al piatto che propongo oggi che è formato principalmente da una crema fatta di farina di riso al latte o di amido o di semolino che nasce nella Palestina/Siria  e prende il via nel resto del M.O con delle modifiche a seconda del luogo e del ceto sociale e del gusto, la si può guarnire con la frutta fresca pregiata oppure spruzzarla con l’acqua di rose o fior d’arancio ecc.ecc e spolverarla con le spezie più profumate tipo la resina la cannella e la noce moscata, per ultimo spalmarla con la panna “Qishta” alla frutta secca, tutte le versioni sono buone quando gli invitati sono dei ben venuti.

Negli ultimi tre giorni l’ho fatta due volte in due modi diversi, a mio marito insieme agli amici è piaciuta molto ed hanno condiviso questa ricette e gustato questo boccone dolce e morbido che la bocca non può non muoversi estasiata.

Qui sotto c’è un annuncio che ho trovato in internet che mostra una frazione della vita sociale dei palestinesi prima della Nakbah del 1948. Riporto ciò che è scritto.

Annuncio per il turismo nel Libano nel 1932 con le ferrovie palestinesi in 19 ore e dice “venite in Libano paradiso dell’Est”, sono previste riduzioni estive dei prezzi da maggio a novembre. Era già allora considerata “paradiso” per le sue bellezze naturali;come dicevo sopra e se si viaggiava vuol dire che c’era anche il benessere.Per chi viaggiava in prima classe c’erano anche le cabine con i letti. 


Grazie e saluti a tutti da Bassima e Fatima 

mercoledì 13 novembre 2013

Le coste in cucina ورق السلق


Oggi facciamo le coste che chiamiamo anche “biete” che sono più piccole e più tenere delle coste. L’altro giorno mentre facevo la spesa in piazza ho visto un banco con delle coste sottili e lunghe, di colore verdissimo e con gambo bianco e sottile, in quel preciso momento mi vennero in mente le coste che si vendono nei suk arabi e più precisamente in Palestina, lì le coste si vendono a mazzetti (ضمم ) “dumam” legati con lo spago o l’elastico  come per il prezzemolo. In quel preciso momento ho cominciato a viaggiare con la mente e questo mi succede molto spesso quando vedo le cose simili che mi fanno tornare a 50 anni indietro quando ero ragazzina e mia madre mi diceva: vai di corsa a prendermi ضمة سلق ossia un mazzo di coste e pensavo: “a cosa serve un mazzo di coste”? correvo verso la prima contadina che incontravo chiedendo delle coste; sapevo che tutte le contadine avevano coste, spinaci, prezzemolo, menta oltre alle erbe curative e profumate. La pianta non viene mai sradicata del tutto dal terreno perché continua a buttare dei nuovi germogli e nuove foglie e siccome la richiesta del mercato locale non è altissima e nello stesso tempo l’orticello delle contadine è piccolo e vario ed anche perché le contadine non possono portare in testa tanto peso e nemmeno un tipo solo di verdura, i mazzetti saranno pochi e grandi tale da soddisfare le massaie.


Spesso mi capita di fermarmi e pensare e questo succede quando sono in contatto con il cibo, “forse perché ho avuto con esso  una relazione morbosa”, mi sentivo inadeguata forse  perché secondo mia madre, dovevo solo studiare e studiare e aiutarla con le pulizie di casa e tenere a bada i miei due fratelli più piccoli, non c’era spazio per imparare a cucinare nemmeno un uovo nel tegamino, insomma m’impediva di farlo, le facevo solo le commissioni urgenti come per le coste e vedere il cibo solo quando lo trovavo nel piatto. Qualche volta e quando lei e mio padre uscivano di sera per andare a trovare parenti o amici, noi fratelli ci mettevamo a fare i CHEF INCAPACI ma contenti di realizzare un piatto di risotto o patate pure al burro e olio d’oliva stando molto attenti a non lasciare tracce, questo succedeva molto spesso e ci rendeva un’autonomia direi dovuta specialmente a me come donna. Quelle erano le mie esperienze culinarie nella casa paterna. Le benedette coste le trovavo nelle zuppe di lenticchie o anche lessate e condite con  aglio e limone che allora odiavo ma che ora adoro.

Cosa sono le coste e come si mangiano “in Palestina”? 
Sono verdure dalle foglie verdi più o meno grandi con un gambo bianco sottile e lungo, della costa si mangia tutto,dopo averle lavate e sgocciolate lesi può consumare cotte a vapore e condite con olio d’oliva pepe e sale e limone oltre al pesto d’aglio“mtawameh” متومه in quanto condita con l’aglio.


I gambi bianchi invece, si possono tagliare a pezzi e bollire con pochissima acqua e condire come per le foglie oppure con l’aggiunta di  tahina (crema di sesamo), sono veramente deliziose.

Il piatto più famoso in Palestina è il “ملفوف السلق”e cioè le foglie arrotolate di coste. Come per tutte le altre foglie di verdura anche la costa la si può arrotolare e riempire vegetariano all'olio d’oliva (vedi le “foglie di vite” nel nostro blog), oppure con carne macinata mescolata al burgul o al riso con pepe e sale e olio e un po’ di concentrato di pomodoro, queste due versioni si possono facilmente fare dopo aver fatto scottare le foglie per renderle malleabili in mano e girarle con facilità come un sigaro dopo aver tolto la parte centrale dura.  In tutte e due le versioni si può stendere in fondo alla pentola uno strato di gambi di costa oppure dei pomodori riempiti dello stesso ripieno dopo averli scavati. Questo serve a proteggere la costa dalla bruciatura del fondo data la sua delicata natura.    Nella pentola si allineano questi “sigari” a strati e poi coperti con acqua bollente e sale, con aggiunto un po’ di olio d’oliva e a seconda del gusto un po’ di polpa di pomodori per una ventina di minuti. Le foglie di coste o biete le mescolo a volte agli spinaci per fare i SAMBUSEK involtini con pasta pane e spinaci con cipolle e sommacco, rigorosamente a crudo (VEDERE NEL NOSTRO BLOG).

Ora che sono “diasporana”, scusate il termine grossolano, mi sento padrona di me e della mia cucina che curo con amore e dedizione, cerco sempre di studiare e scoprire le ricette che mia madre non aveva mai fatto e quelle che sono scomparse dalla società,cucino anche molto bene il cibo italiano che adoro come  quello palestinese,  molto spesso faccio dei paragoni coerenti su come viene considerata la nostra cucina palestinese. Io la vedo mediterranea e completa, molto simile a quella italiano ma con modi diversi di elaborazione, cosa che mi ha dato dimestichezza nel muovermi da una all'altra con agilità e piccole modifiche con risultati straordinari e delicati al palato. Se devo cucinare arabo per gli italiani so che devo ridurre le spezie e l’olio ma se devo cucinare italiano per arabi devo condire un po’ di più per esaltare il sapore, riesco a giocare con le dosi per riuscire a soddisfare tutti i palati.
Per quanto riguarda le vitamine presenti in questo ortaggio vale la pena  dire che le coste sono mineralizzanti, depurativi, antianemici, tonici: sono una preziosa fonte di pro vitamina A e di vitamine B (in particolare acido folico), C, E e K, di fibre e di minerali come ferro, rame, potassio, magnesio. Per assimilare il  ferro è utile aggiungere il succo di limone che favorisce il suo assorbimento. Nelle coste ci sono anche alcuni aminoacidi utili per la salute e la bellezza dei capelli. Nelle persone affette da malattie urinarie e renali bisogna stare attenti a non consumarne tante. 

La cucina palestinese è semplice e più delle volte vegetariana e leggera per l’uso dell’olio d’oliva considerato il RE dei condimenti e fonte di vita per famiglie intere palestinesi prima dell’arrivo della tragedia che ha colpito i palestinesi nel 48. (Gli alberi di olivi sradicati sono più di un milione con una caduta catastrofica sulla società che si trova senza una fonte di guadagno e di sussistenza; gli olivi “simbolo di resistenza” davano da vivere a tutta la popolazione contadina: olive, olio, sapone e legno che forniva tutto il resto della Palestina, ora sono più quelli che si trovano di là del muro che quelli presso i legittimi proprietari).

Per tornare al cibo trovo che la cucina sana mediterranea palestinese è un fiore all'occhiello che fa invidia a tutto il mondo in quanto è considerata completa anche senza il consumo della carne che comincia a costare molto e si deve ricorrere quasi sempre all'importazione .
La questione politica penalizza sempre più il cibo e le materie prime che diventa sempre più difficile reperire, frutta e verdura palestinese doc (una volta a kilometri zero) per motivi che tutti sapete già: difficoltà e ostacoli al movimento delle persone e merci, chiusure e sottrazione sempre più di terre coltivabili e acqua al punto da rendere i palestinesi dipendenti dalle produzioni delle colonie ecc. ecc.  A livello internazionale la situazione non è migliore in quanto non troviamo una politica  seria e sincera che tratti la questione con determinazione e ugual attenzione per risolvere e per sempre questo problema.                                          
Vorrei tanto poter scrivere un libro sulla “cucina palestinese”  per combattere l’indifferenza e lasciare un segno tangibile che noi esistiamo come nazione e come popolo operoso ed energico e produttivo, se lasciato in pace nella sua terra. Le cucine tipiche e tradizionali di tutti i popoli sono presenti nei libri ma quella palestinese viene scimmiottata e poco menzionata per causa dell’occupazione e del tabù creato ad hoc intorno al problema politico/storico falsato da bugie raccontate per spodestare con violenza i legittimi proprietari del territorio e consegnarla ai sempre nuovi arrivati di ebrei da tutto il mondo. Sappiamo che gli ebrei arrivati in Palestina sono principalmente dall'est Europa e dagli USA e dall'Africa del Nord e di recente sono dall'est Asiatico e sono lontani anni luce dalla cucina mediterranea e palestinese e si legittimano attraverso l’appropriazione anche di questa realtà culturale che gli occupanti israeliani tentano di rivendicare come loro.   

Per tutti questi motivi invoco che ci lascino la nostra identità culturale  identificata nei nostri scrittori, poeti, artisti e cuochi e cuoche donne e uomini con la resistenza che tutti i giorni praticano per conservare gli ultimi valori che non possiamo mollare per decretare la nostra fine. Abbiamo consegnato alla storia la nostra politica e la nostra economia ma non possiamo più stare zitti di fronte a questo accanimento brutale ma dobbiamo continuare a misurarci con la nostra tradizione e le nostre abitudini e modi di mangiare.

“se vogliamo essere noi stessi, dobbiamo combattere con i denti per la cosa che più ci identifica, dobbiamo rivendicare le varietà di cibo che da secoli ci distinguono per non smarrire l’ultima risorsa di vita!"

Saluti e ringraziamenti da Fatima e Bassima




martedì 22 ottobre 2013

AL MAFTOUL المفتول

Il maftoul è un elaborato fatto da una parte molto piccola di frumento (burgul fino) che viene lavorato da mani esperte e ricoperto di farina dopo aver spruzzato un po’ di acqua, muovendo le dita in senso rotatorio si fa sì che la semola si copra di farina, si devono accarezzare delicatamente i grani e velocemente muoverle in senso orario, si spruzza nuovamente acqua e nuovamente farina, così si attacca al granello di frumento, è un lavoro molto accurato e preciso che non avevo mai visto prima di andare a Gerico in una giornata cuocente di caldo afoso ad assistere ad una decina di donne palestinesi sedute per terra con le gambe alternativamente piegate per poter tenere quasi in grembo un (lagan) catino grande di plastica contenente il grano ed un altro catino con della farina ed un bricco d’acqua leggermente salata.
le donne del maftoul di Gerico 

Una volta si usava farlo in grandi bacinelle di terracotta che aiutava molto di più della plastica per l’adesione dei granelli tra le dita ed il fondo che facilitava molto di più il lavoro, ora si fa nelle bacinelle di plastica perché pesano meno e risulta più veloce passarli da una donna ad un’altra.

Con tutto l’occorrente intorno la donna non si alza mai ma continua a ruotare le mani mettendo una manciata di farina e una spruzzata di acqua, il tutto dosato e preciso.

Una volta terminata una certa quantità, questa viene passata ad un’altra donne seduta vicino per continuare  il lavoro facendo passare il manufatto attraverso il ghurbal, setaccio con buchi grandi quanto la grossezza del maftoul che si vuole avere, la grossezza in genere è già determinata ed è di media grandezza in quanto questi nuovi grani sono più saporiti se non sono grandi e nemmeno molto piccoli.


Il maftoul  è molto conosciuto nell'area del Mediterraneo, portato dagli arabi in Sicilia e così pure in tutto il MO, ciò che varia è la presentazione, la cottura ed il condimento, questo sì che distingue il piatto da un paese all'altro. Il Maftoulالمفتول    è palestinese ed è considerato superiore agli altri in quanto è fatto a mano dalle donne e spesso viene confuso con il couscous كسكس  Magrebino molto usato in tutto il mondo e allo stesso tempo molto diverso sia come sapore che come qualità tenendo conto del lavoro impegnativo che sta dietro questo grano dorato profumato e delicato al palato. Maftoul si chiama anche in Giordania che a sua volta può essere fatto a mano o a macchina e da tenere conto che il 70% degli abitanti della Giordania sono palestinesi . Simile ma non uguale quello usato in Libano e in Siria e viene chiamato Magrebieh مغربيه In Palestina si usava e si usa ancora fare questo piatto tradizionale nelle occasioni di cerimonie funebri o in occasioni di festa e allegria che per tali motivi tante donne si mettevano  insieme a lavoravano il maftoul, questo aiutava a sollevare gli animi in caso di tristezza e di aumentare la gioia e la festosità in caso di matrimoni o battesimi ecc. ecc. 

Vorrei ricordare che nella società palestinese vigeva la forma di vita patriarcale allargata dove le donne provvedevano in comunione accordo, alla cura ed al mantenimento delle tradizioni tramandate sia del cibo che degli usi e costumi.  

Da piccola non avevo mai conosciuto il maftoul e a dire il vero nemmeno il couscous perché mia madre aveva i suoi piatti classici e non aveva forse nemmeno la curiosità di voler sapere come si mangia nei villaggi e nel mondo rurale, non vorrei con questo farle una colpa ma anzi la comprendo in quanto aveva passato un infanzia difficile e un matrimonio precoce giusto nel momento della proclamazione dello stato d’Israele(maggio del 48). 

Nel periodo delle grandi rivolte e dei fuggi fuggi, nel 48 nacqui  io con parto prematurocausato dallo stress e la fatica che i miei dovettero passare, correndo da una parte all’altra, Amman /Gerusalemme / Amman ed infine Gerusalemme per partorire e continuare a vivere in miseria, perfino il latte non si trovava e mi allattò una mia zia che aveva un bambino della mia età.Le trasformazioni del territorio e della gente che scappava e  trovava rifugio o da parenti in Cisgiordania o nei campi profughi. La divisione della Palestina ha procurato molto doloree disperazione e da lì tutto è cambiato e niente fu come prima (dice mia madre). Dalla disgrazia che ha colpito il mio popolo mio padre ha trovato lavoro presso l’UNRWA (l’agenzia delle UN) parlava bene l’inglese e l’italiano e così fu assegnato all’ufficio  censimenti,partiva la mattina verso i villaggi ed i campi profughi dei territori occupati per documentare e controllare il numero dei senza tetto e dei profughi che arrivavano dalle città e villaggi della Palestina storica.Mi raccontava il suo metodo di censimento violando le regole dettate, lui contava tutti i componenti della famiglia anche se alcuni non erano partiti verso i paesi del petrolio in cerca di lavoro, cercava di aiutarli in modo che prendano qualche kilo in più di riso o di zucchero ed avere almeno qualche diritto alle cure sanitarie. Ora basta tristezza

Torno al mio maftoul, se mia madre  non lo faceva mai, vedevo però mia vecchia zia lavorare tra “pollice e indice” tanti lunghi fili di pasta per fare una pastina molto famosa in Palestina che si chiama لسان العصفور    lingua d’uccello ed altri tipi di pasta per poi stenderla sui setacci di legno per asciugarla, ero piccolissima quando andavo a trovarla perché mi colpiva l’abilità nel girare le dita, faceva anche i tortellini chiamati “sheshbarak” ripieni di formaggio e qualche volta di carne macinata.
Sono stati gli arabi per primi a lavorare la pasta, la asciugavano al sole nel deserto e per secoli hanno lavorato la pasta a mano usando sempre frumento e farina e ricordiamo che i Cananei furono i primi a coltivare il frumento e di macinarlo tra due pietre (si usano ancora nei villaggi) a seconda della grossezza desiderata (per fare il burgul) e poi condirlo con ortaggi e carni rosse che all'epoca avevano a disposizione.

Io, il maftoul ho imparato a farlo soltanto da poco e questa mattina ho voluto provare a farlo da sola e con stupore sono riuscita a perfezione. Ho girato una mano sola perché non avevo un catino abbastanza grande per due mani e usando le mie 5 dita ho iniziato a girarle in senso orario e immaginavo pensavo alla danza dei DERVISH che con grazia girano e girano e così ho paragonato la manovra del فتل  anche alla danza araba molto distinta nel movimento del ventre e delle mani. Ho provato una sensazione emozionale che mi ha fatto ridere da sola come fossi in estasi come i dervish, non credevo ai miei occhi che le perline di maftoul mi venivano a perfezione stando molto attenta a dosare l’acqua e la farina.Appena raggiunta la misura necessaria ho passato i grani attraverso lo scola pasta per far uscire i frammenti di farina rimasti sul fondo. Ho messo una pentola piena d’acqua con un po’ di sale e 2 foglie di alloro e qualche pezzo di zenzero, all'ebollizione ho messo sopra un’altra pentola, che uso solitamente per la cottura a vapore con uno strato del maftoul appena fatto e un po’ di zenzero e di cipolla grattugiati e un po’ di anetoعين الجراده (occhio della cavalletta) e coperto con un altro strato di maftoul che non deve toccare l’acqua sottostante. Ho coperto il tutto con un telo che lasciava uscire il vapore in alto, dopo 15 minuti i grani erano cotti ed hanno raddoppiato il loro volume. Ho versato il tutto su un vassoio versando sopra un po’ di olio d’oliva e un cucchiaino di comino mescolando tutto insieme, una parte l’ho coperta con verdure cotte e l’altra lasciata in bianco perché a mio marito piace con lo yogurt come di solito mangia il riso. Non sono mancati i suoi complimenti anche se si considera una cavia per tutti i miei esperimenti.Per il condimento, lo si può condire con semplice salsa di pomodoro o con verdure passate in padella o anche con polpettine piccole al pomodoro ma “la sua morte” è Il Yakhniيخني   che si usa di solito in presenza di ospiti è composto da diversi tipi di verdure: ceci cipolle intere carote a rondelle zucchine melanzane e zucca a dadi e rosolati in olio d’oliva e coperti con il  brodo del pollo con pepe e sale cannella cardamomo e un po’ di comino e di aneto, l’aggiunta di pomodori è facoltativa.


il pollo bollito con spezie e verdure varie e ceci lascia cadere un liquido squisito su questa montagna di grani.

http://akhbar.alaan.tv/news/post/21496/palestine-maftool-festival-traditional-west-bank

http://www.panet.co.il/online/articles/110/111/S-726495,110,111.html

Il maftoul è molto famoso in tutta la Palestina e ogni anno si organizzano dei festival con un concorso a premi per i migliori piatti e in quell'occasione concorrono tante donne provenienti da diversi villaggi della Palestina e tutte in abiti tradizionali per presentare il piatto che viene sottoposto al giudizio di diversi chef che assaggiano e assegnano dei voti. Quello più famoso è quello di Beer Zeit appena concluso che è alla 6° edizione ed hanno partecipato 17 donne da 17 villaggi diversi con la partecipazione di più di 400 persone.

"Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai malfattori, ma per l'inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare." Albert Einstein

martedì 1 ottobre 2013

WARAQ ELSAN ”ورق لسان او لسينه“ "lingua del toro o di vacca”

E’ una pianta erbacea commestibile selvatica perenne con foglie basali a forma di rosetta, si trova nei prati soleggiati del mediterraneo ed anche in Europa e per questo motivo si chiama Salvia pratensis che significa anche : salvo, guarisco, sano, per le molte virtù.  Il termine usato pratensis fa riferimento all'habitat preferito: prati e altri terreni erbosi preferibilmente aridi e magri, si ritrova anche lungo le strade e zone ruderali.


La salvia dei prati prende origine dalla salvia coltivata, è una pianta perenne, alta anche oltre i 50 cm e con radici molto lunghe, che si distingue facilmente anche da lontano per i suoi fiori intensamente violacei. 
Prima della formazione dello stelo e della fioritura presenta una rosetta basale facilmente riconoscibile per la rugosità delle foglie che sono larghe e appuntite lanceolate mentre i fiori sono di color violetto azzurro, essendo a forma di lingua in Palestina la chiamiamo “lingua del toro o di vacca” è molto simile alla borragine. 
In Palestina si presenta molto più larga di quella che trovo qui e perciò la si deve tagliare in 3 o 4 pezzi, ricordo che quando la vedevo(40/50 anni fa) mi sembrava di vedere una “tovaglia” o un “fazzolettone”, forse perché ero piccola e per me sembrava molto grande, comunque in casa mia non l’abbiamo mangiata che poche volte e mia madre diceva che costava molto e preferiva le foglie di vite o di coste anche se costavano molto pure quelle ma di sicuro non la prendeva perché era una erba da campo e lei figlia di un italiano non aveva mai creato dei contatti con il mondo rurale/ contadino(in campagna non andavamo mai) perché le città come Gerusalemme erano separate completamente dai villaggi, erano le contadine che venivano in città per portare i loro prodotti. Mio padre invece conosceva bene tutti i villaggi palestinesi in quanto lavorava per conto dell’ UNRWA (l’agenzia delle nazioni unite nata nel 50 in seguito alla cacciata dei palestinesi nei campi profughi). “Torniamo alla lingua del toro”, erano passati molti anni prima di rintracciarla qui in Italia, l’ho ritrovata dopo più di 30 anni e solo quando comperai un pezzo di terra dove in mezzo a tante erbe cresceva anche questa bellissima pianta e da lì cominciai a pensare alla mia infanzia e presi a raccoglierla e sperimentare la sua cottura ed assaporare di nuovo il suo speciale sapore e odore. Ripresi a studiarla come faccio di solito con le erbe spontanee ed anche arrotolare le sue foglie riempendole di riso e carne o riso e verdure insieme a qualche pomodoro e qualche zucchina e cipolla (sempre scavate e riempite con lo stesso ripieno).


Grazie alla “mia diaspora e all'Italia  ho potuto rivedere tutta la mia vita cominciando dal basso e dalle piccole cose che da giovane non avevo mai conosciuto.
La trovo nel campo in primavera/estate con fioritura che si protrae in autunno in seguito agli sfalci e così pure nel mercato di Gerusalemme ma molto meno frequente per le difficoltà che ho citato nell'articolo precedente (difficoltà di movimento e di divieto di raccolta) diventa molto raro trovarla con le contadine che stentano di arrivare nelle città a vendere questa delizia ormai in via di scomparsa perché la nuova generazione di giovani sono ormai indirizzati verso il fast food e il cibo facile che mantiene intatte le unghie ricamate e non fa perdere ore di lavoro per prepararla (battuta cattiva lo so).
Di sicuro è un piatto tipico palestinese molto importante da far conoscere, qui in Italia di sicuro la conoscono in qualche parte e la cucinano “forse” come verdura lessa o in insalata, in quanto è presente e viene spesso calpestata senza sapere il valore dietetico che racchiude. 

E’ molto importante però che venga raccolta in terreni lontani dai bordi stradali e in luoghi non trattati da pesticidi.                                                                                        
N.B: va comunque lavate bene e sbollentata prima dell’uso.


Le foglie fresche si possono mangiare insieme ad altre piante e fiori da campo nell'insalata insieme a malva, borragine  alcune foglie di crescione e rucola, cuore di tarassaco o cicoria di campo, con un ciuffo di prezzemolo e di rucola e si condiscono con una emulsione di olio extravergine di oliva e limone.

Mi sento felicissima di averla ritrovata e riprendere ad usarla sia come pianta curativa che in cucina e farla assaggiare agli amici e compaesani che purtroppo non l’avevano più ritrovata dal momento della loro diaspora. Noi, palestinesi la chiamiamo LSAENEH oppure “WARAQELSAN” ورق لسان او لسينه ,difatti “lingua” di toro o di vacca fa lo stesso è importante aver la riscoperta anche se mi fa passare delle ore a cercarla in mezzo alle erbacce, prima che mio marito falciasse il terreno e così salvare queste fantastiche foglie dalle lame del falcetto. Mi capita a volte di portarla giù in Palestina ma mia madre ormai tanto vecchia non si fida del cibo che propongo e mi considera ancora giovane inesperta come allora, ma la mia costanza e determinazione l’hanno fatta cambiare idea sul mio conto e spesso assaggia i miei piatti palestinesi che lei non aveva mai fatto, la vedo più malleabile e senza pregiudizi perché ha capito che nella disgrazia dell’abbandono e della lontananza sono riuscita a completare ciò che lei non ha potuto insegnarmi. 

Scusate la deviazione, purtroppo non si può conservarle (le foglie naturalmente) in freezer come si fa con le foglie di vite in quanto questa foglia e molto delicata ed in freezer perde il suo colore sapore ed il profumo che la distingue e diventa “erba e basta”.
Per questo motivo mi procuro quanto basta per alcuni pasti durante la primavera/estate da mangiare con amici e famigliari e se avanzano un po’ di foglie le regalo ai miei compaesani. 

I suoi lati curativi??? Sono tantissimi ma io menziono solo alcuni: Rinforza l’organismo e le difese immunitarie e dà carica di energia contro lo stress e la fatica fisica, aumenta la produzione di adrenalina ed aiuta a superare le situazioni emotive.Contiene saponina e sostanze lamiacee oltre ai minerali come potassio e calcio. La si può usare per curare gli eczemi della pelle e per la tosse e le complicanze dell’influenza. Viene usata anche in fitoterapia come febbrifugo, antisettica espettorante, digestiva e depurativa. Si può trovarla anche pronta dal droghiere mescolata ad altri estratti di erbe curative.

"Di tutti questi popoli oppressi (Angola, Sud Africa, Zimbabwe  solo i palestinesi sono stati totalmente sradicati dalle loro terre, essendo loro negato il diritto di viverci e di goderne i frutti" (Seconda Conferenza Internazionale di Appoggio ai Popoli Arabi, Il Cairo, 25-28 gennaio 1969).

(tratti da "Lotta del popolo palestinese", introduzione di Guido Valabrega e a cura di Carlo Pancera, Feltrinelli Editore, 1969, Milano).


Ricordo che siamo sempre disponibili a preparare dei pasti tipici per far conoscere le virtù e le delizie che un popolo fa resistere per farli sopravvivere in eterno(spero).

venerdì 20 settembre 2013

ZA’TAR o الزعتر

Oggi vorrei parlare un po’ dello ZA’TAR o زعتر come lo pronunciamo noi in Palestina, lo za’tar o origano o timo suo parente stretto è semplicemente una pianta perenne, la si può considerare una pianta selvatica antica e resistente che cresce nei campi del Mediterraneo arabo della Syria, Libano e Palestina.


I Palestinesi da millenni  raccoglievano questa pianta in primavera quando ancora fresca e tenera e la mangiavano con pane e olio d’oliva oppure la aggiungevano all’impasto del pane o anche dentro ad un semplice fagotto insieme alla cipolla ed al summacco (anch’esso una pianta selvatica famosa palestinese) ed all’olio d’oliva diventando così un piatto rituale della stagione come tanti altri piatti tipici da cucinare nei forni all’esterno della casa. 

Lo Za’tar che viene più frequentemente consumato in Palestina è quella “mescolanza” fatta di foglie di origano seccate e macinate insieme ad altre spezie oltre al summacco ed al sesamo tostato che varia da una regione all’altra sia come colore e sapore a seconda delle spezie che si aggiungono. Nei mercati troverete Za’tar verde o giallo/senape o rosso ed i palestinesi conoscono la provenienza: Nablus, Gerusalemme, Hebron o Gaza (chiamato anche za’tar ducca  زعتر الدقة)  ed ecc ecc.


مكونات الزعتر من اليانسون والكزبرة والكمون والقضامة والسماق وبزر دوار الشمس والسمسم والملح و ورق الزعتر

Questo benedetto ZA’TAR divenne una forza culturale e simbolica in Palestina quando fu vietato ai palestinesi la raccolta dello za’tar dopo il 48 perché l’autorità israeliane da quel momento  hanno considerato quella terra “proprietà dello stato” dichiarando lo za’tar una “pianta protetta”.Ciò che il governo israeliano chiama “state land” fu originariamente terra espropriata dai suoi proprietari nativi palestinesi. Più tardi a queste “nuove regole” che ritengo siano delle forme di repressione  anziché di conservazione dell’ambiente sapendo bene che tagliando l’erba la si rinforza e non si danneggia, l’origano prende un’altra forma ed un altro significato:  ora viene coltivato e diventa un vero e proprio simbolo della resistenza che si diffonde e si riconosce come tale anche fuori dalla Palestina e direi anche in tutto il mondo attraverso I visitatori e gli attivisti che solidarizzano con la causa palestinese. “IL CIBO A VOLTE E’ PIU’ DI QUALCOSA DA MANGIARE” dice Jeff Klein. Ed io aggiungerei: è dignità è rispetto è condivisione è anche preghiera   


Ed è per questo che dico sempre di rispettare questo cibo palestinese ed aiutare i palestinesi a mantenere intatte queste millenarie tradizioni senza pasticciare inconsapevoli del valore culturale e simbolico necessari per la conservazione di questo popolo.
“CIBO E POPOLO VANNO A PARI PASSO”


I contadini palestinesi lo chiamano “la gioia dei monti”che viene dal Greco“oras" (جبل)  "ganos" (مفرح أو مبهج) , perché predilige le zone collinari e rocciose oltre alla Palestina in abbondanza anche  nelle pinete della Syria e del Libano in quanto emana un profumo forte e caratteristico dal sapore un po’ piccante e un po’ amaro .

لن يدخل الزكام منزلاً في مطبخه ضمة زعتر بري

Non entra il raffreddore in quella casa in cui si trova un mazzetto di origano!

Oltre all’uso dello za’tar in cucina e in tavola non possiamo ignorare alcuni suoi benefici sulla salute e vi garantisco non sono pochi. E’ ricco di vitamine che assicura gran parte delle unità necessarie nutritive all’organismo, è antiossidante e efficace anche per eliminare l’ameba intestinale. Lo si può bere come una tisana con miele contro la tosse canina e bronchiti e raffreddori, o anche per disintossicare e purificare il fegato i reni e lo stomaco. Lo za’tar serve anche per rafforzare il sistema immunitarie insieme alla nigella ed allo zenzero ed anche per abbassare il colesterolo e distruggere i microbi (elicobacter) dello stomaco.

Insomma non posso elencare tutte le caratteristiche di questo “farmaco” speciale che tutti i palestinesi conoscono non solo come alimento ma anche come fonte di benessere fisico e psichico. Ricordo sempre mia madre che mi correva dietro mentre andavo a scuola con un panino di “za’tar u zeit” perché diceva anche lei che rafforza la memoria e fa ricordare allo studente tutta la lezione specialmente quella di storia, sarà una credenza popolare! Ma ha sempre funzionato.

E qui mi fermo ma non posso non terminare con la famosa frase dello scrittore “SALMAN NATOUR” tratta dal suo libro “memorie”

"chi non ha memoria lo mangiano le iene ."

giovedì 12 settembre 2013

Riflessione: Cos'è la cucina per me.

La mia decisione di cominciare a mettere giù alcune annotazioni sul cibo palestinese nasce dopo aver fatto tanti anni di lavoro sull'identità culturale palestinese attraverso mostre e incontri e serate su personaggi illustri che della cultura hanno fatto grande la nostra storia nonostante i cent’anni di oppressione e distruzione delle strutture e dei fondamenti di un paese che vanta il più alto numero di alfabetizzati e laureati in tutto il M.O ed io direi (nonostante la tragedia) in tutto il mondo basta leggere il libro “cent’anni di cultura palestinese” di Isabella Camera d'Afflitto
Quarantacinque anni in Italia non sono pochi per sviluppare una presa di coscienza matura e chiara per valutare quanto si è marciato in tutti questi anni su questa benedetta causa mai risolta e sono sempre convinta che i troppi aiuti umanitari verso la Palestina hanno viziato l’essenza del problema e creato dipendenza collettiva inducendo una larga fetta di popolazione ad abbandonare il lavoro per il quale hanno studiato per inseguire lavori umanitari di sussistenza con le ONG internazionali che da 60 anni operano in Palestina. Con questo non vorrei assolutamente criticare i benefici avuti sul terreno ma a lungo andare si è creata di fatto una dipendenza di comodo che difficilmente si potrà mai liberare.
Guardando il film di Norma Murcos “speranza velata” ho osservato le parole sacrosante che  AL-BARBARI, YUSRA (1923)  studiosa e pluripremiata e conosciuta a livello internazionale  che condannava il fatto che la nostra causa sia stata barattata con qualche kilo di farina o zucchero che le UN da più 60 anni distribuiscono ai nostri sfollati che sostano ancora  nei campi profughi vivendo di sussistenza accatastati e lasciati a se tessi senza il diritto alla giustizia ed al ritorno.
Dato che considero il cibo come la prima identità di un popolo e la colloco nei piani più alti della classifica in quanto ritengo che l’arte del “cucinare” è del popolo (massaie e cuochi) ed in particolare dei nostri contadini che lavoravano senza sosta per coltivare gli ortaggi e la frutta biologica che il mondo c'invidiava, ma siccome la nostra arte culinaria è millenaria sarà molto difficile assimilarla ed estinguerla nonostante i tentativi degli occupanti che prima  sradicano gli alberi e poi confiscano le terre e rubano l’acqua  lasciando i contadini  in una specie di limbo ignari del loro futuro e disperati per uno stato di impotenza di fronte ad una potenza militare e sociale come mai vista in nessun paese al mondo. 
Ecco che mi diletto a portare avanti una mia piccola risorsa di cercare le informazioni  per dare voce al mio cuore che resta sempre interamente palestinese per raccontare prima a me stessa e miei figli e dopo agli amici e fidati che mi accompagnano nella mia vita quotidiana e nei piccoli progetti in favore dei un piccolo villaggio palestinese ad “Artas” che mi da l’input di fare qualche critica e qualche mea colpa per aggiustare qualcosa di questo puzzle al quale manca sempre qualche pezzo. Perciò cucino e cucino e cucino con le mia amiche che da anni collaborano con me (Silvia e Fatima) e sperimentiamo le cene, i buffets, gli assaggini e gli aperitivi che spesso offriamo in cambio di qualche aiuto per i nostri progetti, Fatima è una professionista del PC diventa una risorsa per pubblicare nel blog le mie “pseudo ricette” che raccontano con semplicità la storia del piatto più che la ricetta stessa che si può trovare in internet o in facebook magari stravolta e monca della sua essenza . Silvia è la nostra prof. di italiano e ci aiuta nel lavoro che riguarda la preparazione ed il racconto dei progetti. Per noi invece è importante studiare e cercare i motivi ed i modi di mangiare di una popolazione che ha subito diverse invasioni ed occupazioni che nonostante tutto non hanno scalfito ma rafforzato il legame e la professionalità nella cultura palestinese in generale.
Spesso passo delle ore nella ricerca sia nei libri che nei siti arabi che inglesi per capire questo sublime legame fisico e spirituale del palestinese con la terra e di seguito con il piatto.
Racconto qualche aneddoto di me e di mia madre e come vedevamo il cibo e come mia madre ormai 80 enne sceglieva le materie prime che ormai non ci sono più, non solo per causa dell'occupazione ma della nostra colpa come palestinesi che a volte corriamo a cercare il cibo facile “fast food” che danneggia la salute e anche la  causa.
La nostra lotta per la nostra conservazione come popolo passa per forza attraverso la conservazione delle nostre tradizioni e usi e costumi. In questo momento storico non dobbiamo accettare di barattare la ns storia culturale con del cibo facile e veloce.  

Saluti da Bassima

martedì 10 settembre 2013

Al Musakhan مسخن

Tra i mille pensieri e mille domande che mi assillano, spesso non riesco a rispondermi anche se so che l'ingiustizia sia quasi sempre la causa dei mali di tutto il mondo e quando penso convinta che un giorno  un barlume di luce ci sarà per illuminare quel piccolo pezzo di terra molto amato e molto odiato, amato dai suoi cittadini oppressi e oppressori che in tutti i modi hanno cercato di distruggerlo e di  ricostruirlo in maniera diversa per impedirci di amarlo e costringerci a non riconoscerlo, le pietre gridano, gli alberi gridano e le persone gridano e non si arrendono convinti come me che un giorno il cerchio si fermerà lì, il treno si fermerà lì, ed anche il Cristo si fermerà lì come una volta per curare le ferite e ridare il sorriso e rimettere le cose al loro posto dicendo: “la terra è di tutti coloro che la abitano” .      

Quella terra l'abbiamo abitata da secoli ed il nostro legame è forte e vero, noi moriamo per lei, siamo incollati al suo cospetto per una identità cultura storica solida e resistente.
La cucina palestinese fa parte della cultura della resistenza come per il ricamo e l'artigianato nonostante tutte le angherie ed i soprusi che non fanno altro che rinsaldare questo legame in attesa di un riscatto e di una giustizia che verrà.
Il piatto che propongo oggi è il Musakhan مسخن, piatto tipico rurale contadino con un legame forte alla terra a rischio assimilazione e scomparsa dai menù palestinesi.
Il piatto Musakhan è il piatto più popolare e tradizionale della Palestinese, viene di solito preparato nella stagione della raccolta e la spremitura delle olive invitando parenti e amici intorno a questo piatto delizioso per festeggiare la generosità di Dio.
E' considerato un piatto tipico del nord della Palestina ma viene consumato anche in tutto il resto del paese ma con delle modifiche a seconda della stagione o della regione. Essendo considerato il piatto più “grasso” di tutti i piatti tradizionali, alcune regioni ed anche massaie hanno cambiato un po' i dosaggi per renderlo meno pesante ma i contadini dichiarano “se l'olio è buono, di sicuro non darà nessun problema” ed io do atto a questo.    
L'ingrediente principale di questo piatto è il pane taboon fatto esclusivamente nelle zone rurali e cotto su sassi ardenti e in forni a legna con paglia e sterco secco di animali che gli conferiscono un sapore ed un profumo tipico e particolare. Questo pane viene sommerso d'olio d'oliva e coperto con tanta cipolla tagliata a striscioline e rosolata con l'aggiunta di tanto summacco (ingrediente determinante raccolto anch'esso fresco di stagione). Si mescola il tutto e si mette sopra il pane già grondante d'olio. Sopra questa base deliziosa va messo il  pollo lesso tagliato in quattro pezzi e salato e pepato, alla fine si annaffia il tutto con il brodo e si mette finalmente nel forno sotto il grill per la doratura e si serve coperto con mandorle e pinoli tostati (si può fare anche con altri tipi di volatili)
Un pane per persona con sopra un quarto di pollo sono sufficienti ed una volta fuori va mangiato rigorosamente con le mani.  
Questo è il piatto originale che continua ad essere consumato da millenni nella maggior parte della regione del nord Tulkarm, Jenin, Nablus ecc ecc. dove questo piatto nasce, ma per motivi di praticità e di risparmio di olio (grazie allo sradicamento di migliaia di alberi) e perché spesso non ci sono le stesse condizioni sia per il pane “cuore del piatto” che per la quantità enorme d'olio d'oliva; tanti chef e massaie hanno provato a presentare e a malincuore una versione moderna ed elegante usando il pane sottile shrak o marquq cotto su piastra di ghisa convessa oppure il pane “finto Taboon” fatto nei forni del pane comune. 
La versione del shrak è quella che si presta di più, perché si arrotola dopo averlo spalmato di olio e messo tutti gli ingredienti esattamente come la ricetta originale ma con pollo disossato, in questo caso lo si può servire nelle case e nei ristoranti senza sporcarsi le mani e senza ingerire tanto olio che risulta a volte pesante per chi non è abituato o chi ha problemi di stomaco (anche in questo caso si spruzzano i rotoli con poco brodo e si allineano in una teglia da forno per la doratura più o meno croccante). Vicino a questo piatto si può servire anche dell'insalata con pomodori e dello yogurt oltre alle olive e sottaceti. 
In aprile 2010 fu cucinato il più largo piatto di Musakhan mai preparato prima ed entrato nel Guiness dei primati mondiali, 4 metri di diametro ed un peso totale di 1350 kg. ha impiegato 40 cuochi ed usato 250kg. di farina, 170kg di olio d'oliva, 500kg di cipolle e 70 kg di mandorle tostate.
Questo progetto è stato pensato 1 anno prima per espletare le pratiche burocratiche e 3 mesi prima dell'inizio di preparazione per poi arrivare al 16 aprile del 2010 per dichiarare la vincita alla presenza del primo ministro Fayad che lo descrisse come un riconoscimento in onore del popolo palestinese. Questo riconoscimento ha una grande riscatto e valore culturale ed invia un messaggio al mondo per rivendicare i suoi legittimi diritti.
Non è stato facile registrarsi nella lista dei canoni e le misure del concorso, per arrivare alla fine alla vittoria del piatto con eccellenza e combattere nello stesso tempo i prodotti israeliani degli insediamenti e la promozione dei loro piatti locali. 
Questa vincita conferma la volontà di conservare l'eredità culturale contro la prepotenza israeliana che cerca di impossessarsi di questo piatto presentandolo ai turisti e nei ristoranti israeliani nel mondo come piatto popolare israeliano, certo che questo piatto ha anche viaggiato insieme ai profughi ed agli immigrati e si è confermato anche nella diaspora palestinese in giro per il mondo e così che tante altre persone l'hanno conosciuto e rispettato comepiatto musakhan palestinese” صحن المسخن الفلسطيني

Purtroppo capita spesso a tanti piatti tipici palestinesi di prendere nomi e gusti nuovi in quanto le persone li trasformano, per l'uso sbagliato sia del nome che del contenuto e così troviamo un piatto di Hummos che diventa “ummus”, falàfel con l'accento sulla a in falafèl sulla è ed il Maftul che diventa cous cous e la Tabbuleh che diventa tabulè ed il peggio quando viene fatta con il cous cous magrebino invece del burgul e la rovesciata che viene fatta con qualsiasi tipo di riso mettendo dentro di tutto senza l'accortezza di chiedere spiegazione.
Un'altra cosa molto importante che mi permetto di denunciare, sono i corsi di cucina palestinese che spuntano come funghi e sono insegnati  da persone incompetenti che hanno FORSE mangiato una o due volte del cibo palestinese o hanno visitato una volta la Palestina, fanno il Hummos senza tahina o senza limoni o fanno i falafel duri come pietre ecc ecc. e tutto questo lo fanno in buona fede per aiutare questa benedetta causa palestinese,  uccidendo l'identità culturale che mette la firma d'abilità culinaria delle donne palestinesi che dovrebbe invece essere unica risorsa vera e legittima.   

Purtroppo le nostre condizioni di popolo occupato ed usurpato delle sue eccellenze a cominciare dal suo legame fisico e spirituale con la terra (intesa come terra rossa fertile) e dalla quale deriva questo piatto millenario, ci lasciano disorientati e sconcertati per la perdita della casa e dei beni oltre alla perdita più grave che è la terra .

Grazie per chi mi leggerà e chi mi chiamerà per una cena tipica palestinese .

Mi basta morire nella sua terra
Ed esservi sepolta
E sotto la sua polvere svanire e consumarmi
E rinascere erba sulla sua terra
E rinascere come un fiore
Colto dalla mano di un bimbo che cresce al mio paese
Mi basta divenir nel suo grembo
Polvere
Erba
E un fiore       
Fadwa Tuqan (poetessa della resistenza)

venerdì 30 agosto 2013

LE FOGLIE DI VITE ورق الدوالي

Abbiamo già parlato molto delle foglie delle vite e come le impieghiamo in cucina insieme al mahshi “ripieno” di zucchine o melanzane o rape o carote o patate ecc, sappiamo che i palestinesi scavano tutte le verdure che si possono scavare per fare il mahshi, il cibo preferito da tutta la popolazione ma anche dalla maggior parte dei paesi arabi, è considerato un buon piatto completo.
Anche le foglie godono di un posto di riguardo e si possono riempire con lo stesso ripieno delle verdure, oltre alle foglie di vite si possono riempire arrotolando anche le foglie di coste, verza, malva, salvia campestre, del broccolo nero (shool) e quelle tenere del cavolfiore.
Quelle più usate in Palestina sono come dicevo prima; le foglie di vite, tutte le famiglie che hanno un minimo di terra non possono non piantare “una vite” , la vite è una pianta molto antica, molto resistente e anche sacra, resiste alle intemperie fino a 15°C sotto zero in inverno, ma predilige temperature comprese fra 8° e 13°C.
Le foglie si possono utilizzare fresche, quando vengono raccolte in primavera/estate e quando i grappoli non sono ancora grandi e mai maturi, anche più avanti nel tempo a condizione che siano ancora tenere e mai in stagione inoltrata. Oltre il termine possiamo usarle solo per avvolgere polpette o carni o pesce in forno ecc ecc. perché lasciano un sapore buono e mantengono tenere le carni, in quel caso non si devono mangiare.

Prima di raccoglierle bisogna stare attenti che la pianta sia sana e non sia stata trattata con sostanze anticrittogamiche o qualsiasi altro prodotto nocivo alla salute umana e nemmeno impolverata perché piantata vicino alla strada . 
Le viti in Palestina sono piantate direttamente sul terreno in quanto manca l’acqua e la pianta così trae l’umidità dal terreno e dalla brina. 
Logicamente la pianta deve essere folta con tanta vegetazione e per questo che la potatura deve essere adeguata per avere più foglie e soddisfare la richiesta del mercato.
Tenendo conto che l’uva in Palestina è solo da tavola (è vietato il consumo di alcolici), gli israeliano bevono vino e piantano viti da vino mentre i cristiani consumano vino israeliano o d'importazione spesso anche clandestina. Il monastero di Cremisan (presso Beit Jala) produce un ottimo vino e da dove lo si può anche acquistare.

Con questo possiamo capire quanto sia importante la produzione e l’utilizzo delle foglie, le massaie  attendono con ansia l’arrivo delle contadine cariche di primizie di foglie d'uva per accaparrarsi le maggiori quantità e a qualsiasi prezzo (costano molto), le prime foglie arrivano per Pasqua e perciò tutte le famiglie avranno già provveduto a riempire il freezer. 
Per conservarle per i periodi freddi e fuori stagione dobbiamo salarle e metterle in bottiglie sottovuoto oppure in salamoia nei vasi di vetro come per le olive, oppure in freezer, dopo averle sbollentate e messe sgocciolate nei sacchetti di nylon. 
Quando ero giovane e ne sono passati di anni, ricordo come mia nonna usava infilarle a due a due su fili di cotone robusti a modi corona per metterle poi ad asciugare in mansarda o in un posto ventilato.
Le foglie non sono solo un involucro o un sapore gustoso ma oltre a questo sono anche utili all'organismo, sono una specie di farmacia naturale e biologica che fornisce l’organismo di vitamine B1 B2 B6 che proteggono il sistema nervoso, contiene anche la vitamina C che aumenta le difese immunitarie ed anche la vitamina A che è necessaria per l'integrità della pelle. 
Le foglie sono anche ricche di Sali minerali :potassio, ferro e fosforo ed anche il BUDON metallo importante per la presenza di estrogeni nelle donne e riduce la fragilità ossea. Le indicazioni terapeutiche delle foglie sono analoghe a quelle dei frutti di Mirtillo o di Ribes, si tratta infatti di un'attività angioprotettrice, svolta a livello del micro circolo, grazie all'azione degli antocianosidi: diminuzione della permeabilità dei capillari e aumento della loro resistenza. 
Oltre alle note proprietà diuretiche, rinfrescanti, dietetiche e antinfiammatorie, le foglie e i viticci raccolti durante l'estate sono ritenute un ottimo depurativo del sangue, particolarmente adatto ai sofferenti di gotta e artrosi, mentre i fiori e i frutti spesso sono utilizzati per aromatizzare le tisane. 
Le foglie di vite contengono anche zuccheri semplici ed anche glucosio e fruttosio e carboidrati non grassi e non dannosi al fegato, facilitano la digestione ed aiutano l’intestino per la presenza di fibre, perciò vediamo che il loro consumo: 

1 - Aumenta l'attività del fegato e riduce il colesterolo cattivo.
2 - stimola la circolazione del sangue e regola l’attività cardiaca.
3 - abbassa e regola il livello dello zucchero nel sangue nei diabetici.
4 - utile per i pazienti con reumatismi e la gotta perché aiuta il corpo a liberarsi di acidi organici.

Benefici medici
5 - protegge da HIV. 
6 - impedisce la formazione di coaguli di sangue e batteri e tossine.
7 - aiuta nel trattamento delle malattie gastrointestinali, dissenteria ed allevia il dolore di appendicite .
8 - lenisce e allevia l'infiammazione delle gengive e dei denti. 
9 - aiuta nel trattamento del cancro, in quanto ha un enzima che distrugge le cellule tumorali, in particolare il cancro intestinale.


Per tutti questi motivi ritengo sia utile cercare una buona qualità di foglie tenere e lucide e che siano di uva nera in quanto quelle di uva bianca sono più dure.


Come arrotolare le foglie di vite? non è difficile ma ci vuole tempo per preparale e lavarle in una terrina d'acqua con sale e bicarbonato, poi sbollentarle e dividerle a gruppi della stessa grandezza e rigorosamente senza picciolo.
Il ripieno può essere vegetariano o con carne ma sempre con riso dal chicco piccolo e senza amido, si posano in pentola, le grandi sotto e le piccole sopra, mi raccomando di non farle come fagotti ma devono essere simili a dei sigari ben chiuse da tutte le parti.

Nei precedenti articoli nel nostro blog del 7 giugno trovate la spiegazione più approfondita riguardo l' arrotolamento delle foglie ed al ripieno.


Qui sotto vedete come si presenta il piatto.


Buon Appetito a tutti da Bassima e Fatima.
  
                                   
         E' bello quando cade solo pioggia su questa nostra terra (Apicella)